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Roma, 24 apr. (askanews) – L’Unione Europea ha attivato una nuova procedura d’indagine nei confronti della Cina in relazione alla possibilità per le aziende europee produttrici di dispositivi medici di accedere agli appalti pubblici nella Repubblica popolare,ipotizzando che alcune pratiche e norme in vigore nel paese asiatico diano luogo “a gravi e ricorrenti restrizioni dell’accesso degli operatori economici, dei beni e dei servizi dell’Unione”.

L’indagine è stata aperta nell’ambito dello Strumento per gli appalti internazionali (IPI), adottato nel giugno 2022 coin l’obiettivo di aprire i mercati esteri degli appalti chiusi alle aziende Ue.

Si tratta di un ulteriore tassello in un quadro più articolato di indagini e provvedimenti in relazione alle politiche cinesi. Particolarmente caustica per Pechino è l’indagine di alto profilo aperta lo scorso ottobre contro i sussidi di stato forniti dalla Cina ai produttori di auto elettriche. Inoltre, nel mirino sono finiti anche i pannelli solari. La Cina ha già reagito a queste indagini accusando l’Ue di “atti protezionistici che danneggiano l’ambiente di giusta competizione in nome della giusta competizione”.

La nuova indagine è stata presentata in una nota della Gazzetta ufficiale Ue. In essa, si punta il dito, in particolare, sull’articolo 10 della legge sugli appalti pubblici della Repubblica popolare cinese, che attua la politica “compra cinese” e stabilisce che gli enti pubblici acquistano beni, servizi e lavori esclusivamente nazionali, salvo tre casi: quando i beni, i servizi e i lavori non sono disponibili nel territorio della Rpc o non sono disponibili a condizioni commerciali ragionevoli; quando i beni, i servizi e i lavori oggetto dell’appalto sono destinati a essere utilizzati al di fuori della Cina; se diversamente specificato da altre disposizioni legislative e regolamentari. Anche le iniziative di promozione degli acquisti locali attuate dalle autorita’ locali favoriscono i prodotti fabbricati localmente.

Inoltre, l’Ue ha acceso un faro sulla strategia “Made in China 2025” promossa da Pechino, che prevede un requisito secondo cui l’acquisto da parte degli ospedali di dispositivi medici di media e alta gamma di produzione nazionale dovrebbe raggiungere il 50% entro il 2020 e il 70% entro il 2025.

Altre norme su cui si focalizza l’indagine sono la comunicazione n. 551 del 2021 sui criteri di esame e orientamento per gli appalti pubblici di prodotti importati, secondo cui le autorita’ locali devono aumentare il tasso di acquisto nazionale di 315 prodotti, di cui 178 sono dispositivi medici (per 137 è imposto l’obbligo di acquistare il 100 % di prodotti nazionali); e la comunicazione Guo Ban Fa del 2015 n. 34 sulla riforma del sistema medico e sanitario, che impone agli ospedali pubblici di dare priorità ai dispositivi medici nazionali e promuove l’acquisto di dispositivi medici nazionali di elevato valore nell’ambito di una procedura di appalto centralizzata.

Secondo l’ipotesi da cui parte l’indagine, ancora, Pechino cerca di limitare gli appalti di beni importati, compresi i dispositivi medici, mediante misure amministrative che stabiliscono norme e procedure più severe per gli appalti di prodotti importati che per gli appalti di prodotti nazionali, oltre a “imporre condizioni, negli appalti centralizzati di dispositivi medici, che portano a offerte anormalmente basse che non sono sostenibili per imprese a scopo di lucro”.

La Commissione europea, nella sua valutazione preliminare inserita nella nota, ha affermato che “le suddette misure e pratiche restrittive sulle importazioni creano uno svantaggio significativo e sistemico per gli operatori economici, i beni e i servizi dell’Unione, in quanto favoriscono sistematicamente l’acquisto di prodotti nazionali a scapito di quelli importati o rendono soggetta a procedure discriminatorie la partecipazione degli operatori economici dell’Unione agli appalti”.

Impedendo l’acquisto di dispositivi medici importati tranne quando, ad esempio, i dispositivi da acquistare non sono disponibili nel territorio della Repubblica popolare cinese, “tali restrizioni e pratiche all’importazione – continua la valutazione dell’esecutivo Ue – privano i produttori dell’Unione di dispositivi medici di qualsiasi opportunità commerciale, o almeno di opportunità significative, nel mercato degli appalti della Rpc. Tale impatto negativo è ulteriormente inasprito dalla definizione di obiettivi di acquisto nazionale per le amministrazioni aggiudicatrici”. Inoltre, anche quando è concesso l’accesso al mercato, “vengono spesso imposte condizioni che privano i produttori dell’Unione di un’equa possibilità di partecipazione, come l’obbligo di dare accesso alle loro tecnologie”. Queste misure e pratiche “sono stabilite in atti legislativi, regolamentari o amministrativi di applicazione generale o applicate nella pratica su base regolare, dunque hanno un effetto ricorrente”.

Il mercato della tecnologia medica della Cina è stato stimato valere oltre 135 miliardi di euro nel 2022, secondo uno studio dell’Istituto Mercator per gli Studi sulla Cina.

L’indagine deve concludersi entro nove mesi. Il governo cinese “è invitato a presentare il proprio parere e a fornire informazioni pertinenti in merito alle presunte misure e pratiche” ed è “inoltre invitato ad avviare consultazioni con la Commissione al fine di eliminare o porre rimedio alle presunte misure e pratich”, secondo quanto afferma il documento pubblicato in Gazzetta.

Se le valutazioni preliminari della Commissione dovessero essee confermate, le aziende cinesi del settore potrebbero vedere declassate le loro candidature per gli appalti nel mercato unico. otrebbero anche essere escluse dagli appalti nell’Ue.

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