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HANNO scatenato un putiferio di polemiche nel Pd emiliano le dichiarazioni shock del sindaco di Brescello, Marcello Coffrini, sulla ‘ndrangheta calabrese, al punto che ieri, messo sotto processo dal suo partito, il primo cittadino ha dovuto rimettere il mandato al consiglio comunale del suo paese, quello reso celebre dalla saga di Peppone e don Camillo inventata da Guareschi. 

Tutto è nato da un’affermazione su Francesco Grande Aracri, considerato dagli inquirenti il referente della cosca di Cutro (capeggiata dal fratello Nicolino, attualmente detenuto col regime carcerario duro) nella Bassa reggiana, meta dell’esodo di migliaia di emigrati provenienti dalla cittadina della provincia di Crotone ma anche di alcuni uomini dei clan. «Una persona educata», aveva detto il primo cittadino di Brescello ai ragazzi della web tw Corto circuito riferendosi a Grande Aracri. Ma era stata una vera e propria escalation, a cominciare dall’affermazione secondo cui «Brescello non è un paese con problemi di criminalità», per proseguire con «Grande Aracri è uno molto composto, educato, ha sempre vissuto a basso livello».

Le dichiarazioni del sindaco sono arrivate pochi giorni prima di un blitz che proprio oggi ha colpito le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia Romagna e Umbria, con sequestri di beni a imprenditori ritenuti collegati proprio alla cosca Grande Aracri (LEGGI).

Per la cronaca, Francesco Grande Aracri, il 60enne al quale nel novembre scorso la Dda di Bologna sequestrò beni per tre milioni (tra cui due società del settore edile, sei appartamenti e nove attività commerciali), è stato condannato in via definitiva a 3 anni e 6 mesi di reclusione per associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta che nel febbraio 2003 portò all’operazione Edilpiovra. A distanza di dieci anni ci fu la nuova operazione antimafia, con la quale gli inquirenti emiliani colpirono la cosca al portafogli, a dimostrazione della pervasività della ‘ndrangheta nella provincia reggiana, dove, secondo lo scenario avvalorato da sentenze definitive, la “cupola” cutrese era attiva con estorsioni ai danni di gestori di esercizi pubblici e privati e un’intensa attività di fatturazione per operazioni inesistenti. Secondo l’accusa, Francesco Grande Aracri dirigeva le attività degli esattori del clan all’opera anche con attentati incendiari e dei quali legittimava l’operato nel Reggiano. 

Ieri i sindaci della Bassa hanno messo sotto torchio il loro collega di Brescello. Tra quelli più incolleriti Enrico Bini, sindaco di Castelnovo Monti, ex presidente della Camera di Commercio di Reggio Emilia, che con una sua denuncia su fatti di rilevanza penale che riguardavano una società di trasporti attiva nel Reggiano ma con sede legale a Isola Capo Rizzuto fece scattare l’inchiesta che nell’aprile scorso portò alla cosiddetta operazione Zarina, ovvero 13 arresti tra la Calabria e l’Emilia più un sequestro di beni per 13 milioni. Al termine dell’istruttoria del Pd, Coffrini ha dettto di avere sbagliato e ha chiesto aiuto «per combattere la criminalità e le sue infiltrazioni». Il sindaco Coffrini ha perso quattro chili in una settimana e rischia di doversi dimettere, avendo rimesso il mandato alla maggioranza che nel paese di Peppone non può che essere monocolore (Pd).

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