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Le auto coinvolte nell'incidente

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VIBO VALENTIA – Ha gli occhi tristi, spesso lucidi, a tratti non riescono a trattenere le lacrime. Si sfoga, accenna un pianto quasi liberatorio, cercando di posare per terra quell’insostenibile fardello che porta, con tutti i suoi cari, fin da quella terribile notte del 20 dicembre scorso, quando vide il corpo del suo amato Gianluca, riverso per terra, privo di vita gelido come il marciapiede di via Accademie Vibonesi, nella parte alta del capoluogo, sul quale era finito dopo essere stato sbalzato dalla sua autovettura centrata quasi in pieno da quella Maserati alla cui guida c’era il commerciante Francesco Satriani, prima indagato e poi arrestato per omicidio colposo (LEGGI L’ARRESTO). 

È da quel maledetto incidente che non esce di casa, chiuso, insieme alla moglie Vittoria e ai suoi altri due figli Giuseppe, il più piccolo e Francesco, quello più grande, in un dignitoso ma interminabile dolore. Domenica scorsa ha trovato la forza di farlo per recarsi presso la nostra redazione e raccontare la sua vicenda. Mario Scuglia parla di Gianluca, di suo figlio. Lo ricorda, lo racconta con parole pregne di quell’amore che un padre nutre per la sua creatura dalla quale è stato costretto in un modo così violento a separarsi ad appena 34 anni.

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«Aveva un bel sorriso, molto solare», afferma accennandone uno lui stesso, abbandonando per un attimo la tristezza che lo assale praticamente ogni giorno da quasi un mese. «Gioviale, disponibile disponibile con chi lo meritava. E poi adorava i bambini. Con i suoi cuginetti trascorreva ore ed ore». Giuseppe annuisce, braccia conserte e sguardo, al contrario del padre, vispo, battagliero. È vero, la morte di un proprio caro può distruggere, quasi annientare una famiglia, una famiglia unita come quella Scuglia, ma a volte, ed è questo il caso, può anche fortificarla. Come? Lo vedremo in seguito. 

Di Satriani, Mario non ne vuole sentire parlare. Quel nome non si pronuncia. E così fanno anche gli altri congiunti. Trova «inconcepibile che sia a piede libero» dopo avergli portato via il suo amato ragazzo. Colpa delle storture di una legge e di una società soprattutto di un Parlamento, che «solo adesso sta prendendo coscienza della necessità di inasprire le pene per le morti di questo tipo». L’omicidio stradale, per l’appunto. Sì, perché «non si tratta di incidente, ma di omicidio», aggiunge Mario, forte anche della sua esperienza ultradecennale di assicuratore a San Giovanni di Mileto. «Ciò che ci sconforta ulteriormente è proprio questo – afferma ancora – la presenza di una normativa che non tutela le vittime e non punisce i colpevoli. Ci sarà un processo com’è giusto che sia, ma per ora non riesco a tollerare che questa persona sia a piede libero. Molto probabilmente sarà dispiaciuta per quanto avvenuto ma noi siamo distrutti». 

Il peggior Natale possibile per la famiglia Scuglia nella cui abitazione, a differenza di quanto accadeva nella quasi totalità delle case, i sorrisi hanno lasciato il posto ai pianti, agli sguardi persi nel vuoto al viavai di persone giunte a portare una parola di conforto: «Può facilmente comprendere – aggiunge rivolgendosi al cronista – quale fosse il nostro stato d’animo». Adesso, anche se il dolore è rimasto immutato nella sua intensità, è giusto guardare avanti, soprattutto informare, sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi che si corrono al volante. Via Accademie vibonesi è una strada senza dossi né telecamere di sorveglianza, lunga circa 700 metri, in salita. Porta al castello, non molto trafficata nonostante la presenza di diversi palazzi. Il luogo ideale, dunque, per svolgerci qualche gara di velocità. Auto che sfrecciano ben oltre il limite consentito, ben oltre, in alcuni casi, ai 100 km all’ora. 

L’incidente nel quale ha perso la vita Gianluca è stato terribile. Si trova a bordo della sua Y 10 svolta a sinistra, la Maserati alla cui guida vi è Satriani, tra l’altro coetaneo della vittima, «spunta all’improvviso come un proiettile» e non fa a tempo a frenare. L’impatto è inevitabile e ad avere la peggio è proprio l’utilitaria che letteralmente decolla, abbattendo un albero e finendo la sua corsa, unitamente all’altra autovettura, a circa trenta metri dal luogo dell’impatto. Il corpo del 34enne, nelle tragiche evoluzioni del veicolo dopo l’urto, verrà sbalzato dall’abitacolo e ritrovato distante decine di metri sull’asfalto freddo e bagnato dall’umidità. «Andava forte», dicono Mario e Giuseppe, «altrimenti non si spiega uno scontro così violento». 

Il padre in quel momento è a casa, a pochi metri dall’incidente. Non sente nulla. Solo verso le 3 (l’incidente è avvenuto intorno all’1,00) apprenderà della tragedia, quando gli agenti busseranno alla porta: «Mi è caduto – commenta – il mondo addosso, non volevo crederci». Fa una pausa, Mario, rivivendo nella sua mente la scena, poi riprende: «Mi sono subito affacciato e ho visto il corpo di mio figlio sul marciapiede, inerme, esanime, al freddo. È stato terribile». 

Interviene Giuseppe, anche per dare un po’ di sollievo al genitore che, al pari dei suoi cari, affronta il dolore nel suo intimo con grande dignità: «Bisogna capire che quando, si è alla guida di un’auto, si hanno da un lato grandi responsabilità e, dall’altro, che bisogna guardarsi dagli altri. Noi, adesso siamo in contatto con l’associazione “Vittime della Strada” che ci ha offerto tutto il sostegno possibile e per mezzo della quale stiamo cercando di organizzare un evento che non sia solo il ricordo di mio fratello ma un modo per sensibilizzare le persone sulla necessità di essere prudenti e responsabili soprattutto, come nel caso di mio figlio, se si ha un tasso acolemico ben superiore al limite consentito. Intanto domani cade un mese dal quell’incidente e per ricordare il giovane studente sarà officiata alle 18 una messa nella chiesa di Santa Maria La Nova».

Persone, alcune delle quali, hanno deluso la famiglia Scuglia nel momento in hanno declinato, dopo averlo accettato in precedenza, l’invito a testimoniare in tribunale. «Sinceramente è stato un colpo al cuore – afferma ancora Giuseppe – perché in questo modo è come se si facesse morire nuovamente Gianluca, al quale certi atteggiamenti di questa città non piacevano. E questo non lo avrebbe gradito».

Diviso tra Vibo e Bologna, dove ha frequentato l’università insieme a Giuseppe e Francesco, Gianluca aveva in programma di tornare nel capoluogo emiliano. Quel lavoro che era riuscito ad ottenere appena 48ore prima della sua morte sapeva che gli sarebbe stato stretto. Non era ciò che voleva fare. La città gli stava stretta. Eppure il 23 dicembre sarebbe andato a firmare il contratto perché aveva necessità di mettere qualche spicciolo da parte per non gravare sui suoi genitori. «Era fatto così – racconta il papà – uno spirito libero». 

Un sorriso coinvolgente, uno sguardo profondo e un amore verso le persone a lui care. «Era mio figlio – conclude Mario Scuglia con la voce tremante – e ora non c’è più».

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