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CATANZARO – Neppure da morte hanno trovato pace. Almeno non per ora. I corpi di Elisabetta Grande e Maria Belmonte, i cui resti vennero trovati nell’intercapedine della loro villetta di Baia Verde a Castel Volturno dopo 8 anni dalla loro scomparsa, sono contesi. Da una parte, la famiglia delle due donne originarie di Catanzaro, ha chiesto e ottenuto dalla Magistratura la restituzione dei corpi per celebrare i funerali a distanza di tre anni dal loro ritrovamento, dall’altra il marito-padre, Domenico Belmonte che, assistito dai suoi legali Carlo De Stavola e Rocco Trombetta in Procura ha presentato un’istanza di opposizione.

E intanto i corpi restano lì, all’Istituto di Medicina legale di Bari dove vennero trasportati per effettuarne nel novembre 2012 l’autopsia. Una storia incredibile per la quale si attende ancora che la Procura chiuda le indagini e chiarisca alcuni aspetti riguardo le cause del decesso e il perchè le donne furono trovare sotto a quell’intercapedine.

L’unica certezza è che Elisabetta Grande e la figlia Maria Belmonte sono morte a causa di un mix letale di farmaci. Al contrario «nulla è possibile affermare con criterio di certezza sui tempi di assunzione o somministrazione delle sostanze rilevate». Così, si leggeva nell’ennesima perizia ordinata dai pubblici ministeri di Santa Maria Capua Vetere che avevano in mano il fascicolo – nei mesi scorsi l’inchiesta è stata assegnata ad un altro magistrato – ma che ancora una volta non sembrava schiarire i contorni del mistero che avvolge la morte delle due donne trovate cadavere a otto anni di distanza dalla loro scomparsa. L’elaborato del professore Francesco Introna, anatomopatologo di Bari si limitava, per così dire, ad elencare una serie di farmaci o meglio di tracce “per nulla trascurabili” rilevate sui corpi senza vita ma non per questo chiarire, per una serie di condizioni, nè i tempi nè tanto più se quei medicinali – tra i quali anche sostanze attive quali metadone e cocaina – Elisabetta e la figlia Maria li abbiamo assunti loro o qualcuno glieli abbia somministrati. Il tempo, ben otto anni, gli allagamenti da acqua piovana che si sono succeduti nell’intercapedine che si affaccia sul giardino della villetta dove gli investigatori trovarono i due corpi, l’uno accanto all’altro, non permetterebbero null’altro.

I risultati degli esami tossicologici in sede di autopsia avevano parlato di tracce di antidrepressivi, antidepressivi inibitori della serotonina, antiaritmici, antidolorifici oppiacei, cardioattivi, farmaci la cui interazione e associazione spesso sinergica in ragione delle quantità assunte somministrate si sarebbe potuto rilevare letale. Forse per questo nella prima perizia – 300 pagine con allegati atti e fotografie dei resti delle due donne – l’anatomopatologo parlava di duplice suicidio. Perché come emerse sin dai primi accertamenti, non venne trovato alcun segno di violenza sulle ossa né eventuali tracce di strangolamento o soffocamento. Aveva escluso ogni sua responsabilità Domenico Belmonte accusato di omicidio e occultamento di cadavere. E così aveva fatto Salvatore Di Maiolo, ex marito di Maria Belmonte (difeso dall’avvocato Nando Letizia).

Entrambi si erano detti estranei alle accuse. Lui, il dottore Belmonte con un passato glorioso nel carcere di Poggioreale dove ricopriva la carica di ex direttore sanitario, aveva più volte spiegato di non averle cercate per vergogna sicuro che moglie e figlia fossero andate via spontaneamente. Oggi vive in un albergo nel Casertano. È un uomo libero dopo che la Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura contro il provvedimento del tribunale del Riesame che gli aveva riconsegnato la libertà dopo 23 giorni di detenzione. Libero, senza nessuna “costrizione”. Ecco perché non vuole che i corpi della moglie della figlia vengano restituiti alla famiglia di origine. E tutto ciò che resta della sua di famiglia. E non vuole perderla. Non questa volta.

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