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Il Palazzo della Consulta a Roma

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È opinione comune che la buona, corretta ed efficace utilizzazione, come è dovuto,  delle risorse finanziarie  che l’Unione Europea rende disponibili con il Recovery Fund,  costituisca, per ammontare e obiettivi, una straordinaria e non ripetibile occasione di ripresa e sviluppo del Paese, e consenta finalmente di perseguire e raggiungere il riequilibrio economico e sociale tra le sue diverse aree, assicurando nuove prospettive di sviluppo per il Mezzogiorno.

Ne dovrebbe dare una efficace immagine il Piano nazionale di ripresa e resilienza, le cui Linee guida il Governo ha sottoposto all’esame del Parlamento per raccoglierne le valutazioni e gli indirizzi in vista della sua definizione. Ma proprio l’analisi e le convergenti valutazioni delle Commissioni della Camera e del Senato ne mettono in luce la non adeguata rispondenza all’esigenza di rimuovere gli squilibri e assicurare il rilancio del Mezzogiorno, che non costituisce solamente un dovere legato alla coesione ed alla solidarietà, ma  è condizione per lo sviluppo dell’intera comunità nazionale.

Il Senato, con le sue Commissioni riunite, per la  Programmazione economica e per le Politiche dell’Unione europea, ha indicato un principio guida, stabilendo che  “un’attenzione particolare dovrà essere posta nell’azione di rinnovamento e rilancio del Mezzogiorno, nonché delle aree interne e delle isole minori, dove maggiormente si concentrano le difficoltà italiane, e quindi verso la necessaria identificazione di criteri specifici per il riequilibrio della competitività delle varie aree del Paese”. Sono stati anche indicati settori “come le infrastrutture fisiche e le infrastrutture sociali, in cui i fabbisogni di investimento di alcune aree del Mezzogiorno sono ben superiori alla ricordata misura del 34 per cento”, vale a dire alla percentuale che dovrebbe raccordare la ripartizione dei fondi alla popolazione residente.

Un analogo indirizzo è stato dato dalla Commissione Bilancio, tesoro e  programmazione della Camera, per la quale «l’obiettivo prioritario resta quello di incrementare gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, al fine di colmare, nel giro di alcuni anni, il divario  infrastrutturale che rallenta la crescita di quei territori», segnalando l’effetto di «più elevata crescita economica complessiva, nel breve come nel lungo periodo, derivante da una maggiore concentrazione delle nuove risorse di investimento nel Mezzogiorno».

In entrambi i casi si tratta di osservazioni critiche e propositive delle quali il Governo è tenuto a tener conto, rivedendo in conformità ad esse le Linee guida, in modo da adeguare la redazione del Piano nazionale alle indicazioni del Parlamento. Si potrebbe ritenere che ne derivi un vincolo politico per il Governo, giuridicamente non costrittivo, rispetto al quale tuttavia il Parlamento ha strumenti per assicurarne l’osservanza, intervenendo sulle leggi di bilancio in conformità agli indirizzi enunciati, come pure disponendo vincoli di conformità a quegli indirizzi nella  allocazione delle risorse per le grandi opere da programmare e finanziare.

Del resto, non può essere considerata priva di fondamento la possibilità di prefigurare un vincolo costituzionale per la ripartizione di queste straordinarie risorse finanziarie secondo criteri che tengano adeguato conto della esigenza di riequilibrare le condizioni economiche e sociali del Paese, in conformità agli indirizzi parlamentari.

La costituzione stabilisce che lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali per promuovere lo sviluppo e rimuovere gli squilibri economici e sociali, bilanciando le linee del cosiddetto federalismo fiscale introdotto nell’articolo 119 della costituzione con la riforma del 2001. È ragionevole ritenere che le risorse aggiuntive siano tali se nella loro misura si aggiungono, appunto, a quelle che risulterebbero dal criterio di ripartizione rapportato alla popolazione residente, venendo destinate a colmare le carenze nelle infrastrutture che limitano lo sviluppo economico. Si può obiettare che l’articolo 119 enuncia  una disposizione programmatica, che orienta il legislatore tenuto alla sua attuazione ma non vincolato da un puntuale contenuto. Ma anche le disposizioni programmatiche hanno un valore precettivo, e se ci si discosta palesemente da esse ne deriva una illegittimità che la Corte costituzionale, se investita della questione, potrebbe sanzionare. Il percorso per proporre una simile questione, da parte delle Regioni interessate, non è semplice ma neppure fantasioso o impossibile.


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