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Mario Draghi e Ursula Von Der Leyen alla presentazione del Pnrr

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La Ragioneria generale dello Stato – che ha la responsabilità del coordinamento tecnico e del monitoraggio dello stato di attuazione del Pnrr – ha preso l’iniziativa di predisporre una norma abilitante che andrà al prossimo consiglio dei ministri. L’affiancamento deve avvenire a 360 gradi sul piano progettuale, in tutte le fasi che vanno dall’elaborazione della idea alla esecuzione del progetto. Se vogliamo che l’Europa non ci tolga i soldi e che il piano nazionale finanziato con fondi europei vada in porto, bisogna sottrarre tutte queste pratiche al giogo politico clientelare delle Regioni. Ci sono a bando 15/20 miliardi di fondi per la sanità, risorse come mai viste per il dissesto idrogeologico, altri 20 miliardi solo per i Comuni. Parliamo di qualcosa che vale 40/50 miliardi. Inoltre sono disponibili altri 60 miliardi di fondo sviluppo per il settennato 2021-2027 e altri fondi europei strutturali per un ammontare oscillante tra 70 e 80 miliardi. Serve un nuovo metodo

Soldi, soldi, soldi. Li vogliono tutti per loro e li vogliono per continuare a fare quello che hanno sempre fatto. Spendere pochissimo e lentamente fino alla fine delle scadenze comunitarie i soldi europei per poterli poi usare per finanziare le marchette degli amici loro. Che saldano con il bilancio ordinario, ma lo fanno impiegando le risorse del fondo di coesione e sviluppo. Un gioco delle tre carte che usa la cassa europea dello sviluppo per pagare il conto dell’assistenzialismo e delle clientele senza pudore e senza pentimento.

I De Luca, i Musumeci vorrebbero ripetere queste pratiche della vergogna anche con i fondi europei del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) sfidando le regole morali della nuova Europa della coesione sociale finanziata con debito comune condiviso. Questi intendimenti e questi comportamenti sono incompatibili con il riscatto del Mezzogiorno e con la rinascita dell’Italia. Bisogna gridarlo con forza e interdirli da mettere testa e mani su queste pratiche. Tale discorso vale in modo assoluto per i Capi delle Regioni del Sud ma riguarda in misura altrettanto significativa i Capi delle Regioni del Nord, tutte peraltro da tempo in declino strutturale.

Non si spiegherebbe altrimenti come sia possibile che i monitoraggi della Ragioneria generale dello Stato certifichino nel 2021 un tasso di utilizzo delle risorse da spendere nel settennato 2014-2020, quindi già finito, pari al 12% del totale nelle Regioni del Nord e pari al 3% nelle Regioni del Sud. Con questo biglietto da visita che vale come loro presentazione e che dovrebbe produrre imbarazzo personale oltre che consigliare silenzio assoluto, i Capi delle Regioni hanno continuato a chiedere soldi per loro e da fare distribuire da loro davanti alla platea delle imprese riunite all’Unione industriali di Napoli. Con una bella faccia di bronzo hanno ignorato totalmente i numeri della vergogna che riguardano il loro operato e che Confindustria ha snocciolato impietosamente alla loro presenza.

Sbrigatevi o salta tutto. Abbiamo scritto ieri e lo ripetiamo oggi. Perché con questi signori le amministrazioni territoriali, soprattutto del Mezzogiorno, i buoni progetti li possono vedere solo con il binocolo e le possibilità di dare attuazione ai buoni progetti nei tempi e nelle modalità concordati con l’Europa sono praticamente pari a zero. Siamo sconcertati dal fatto che il loro esporre retorico, fuori dalla storia e dalla realtà, non sia stato sommerso di fischi fino a farli zittire. Siamo sconcertati dal fatto che questa doverosa reazione civile a chi di fatto ruba il futuro ai nostri giovani ancora non avvenga. Non hanno progetti. Non sono capaci di farli. Non chiedono aiuto a chi li sa fare per fare quello che dovrebbero fare loro. Sanno solo urlare che i soldi toccano a loro e guai a chi si permette di discutere su come li impiegheranno.

Per fortuna il problema ha assunto una dimensione così gigantesca che la Ragioneria generale dello Stato – che ha la responsabilità del coordinamento tecnico e del monitoraggio dello stato di attuazione del Pnrr – ha preso l’iniziativa di predisporre una norma abilitante che andrà al prossimo consiglio dei ministri. La norma, che il Quotidiano del Sud è in grado di anticipare, prevede che Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), Studiare Sviluppo e Invitalia dovranno affiancare gli enti territoriali del Mezzogiorno nel fare i progetti e dovranno accompagnarli nel fare tutto quello che si deve fare. Si parte dalla assoluta consapevolezza della debolezza dello stato di queste amministrazioni sul piano amministrativo e si vuole incoraggiare la volontà politica del territorio a uscire da vassallaggi fuori dal mondo.

L’affiancamento deve avvenire a 360 gradi sul piano progettuale, di massima e esecutivo, a partire dalla studio di fattibilità quando se ne è sprovvisti, e sul piano amministrativo in tutte le fasi che vanno dall’elaborazione della idea alla esecuzione del progetto. Se vogliamo che l’Europa non ci tolga i soldi e che il piano nazionale finanziato con soldi europei vada in porto, bisogna sottrarre tutte queste pratiche al giogo politico clientelare delle Regioni e bisogna dotare le amministrazioni di consulenti e di nuovo personale in grado di accompagnare positivamente l’attuazione dell’ambiziosissimo programma.

Bisogna porre un argine a questi presidenti delle Regioni che vogliono solo i soldi per loro e che vogliono gestirli a loro piacere per continuare a distribuire questo o quello tra gli amici. Dovrebbero viceversa coordinarsi con gli enti locali in una conferenza unificata e con i ministeri del Sud e degli Affari regionali una sola volta per programmare a monte gli interventi rispettando lo spirito del piano e le sue priorità in modo da potere andare poi più veloci dopo nella fase esecutiva.

Si deve assolutamente intervenire perché i Capi delle Regioni non vogliono fare, come dovrebbero, solo una riunione a monte di programmazione in cui fissare criteri omogenei rispetto agli obiettivi indicati. Un’attività, sia chiaro, che avrebbero dovuto già svolgere prima dell’estate e che invece si sono ben guardati dal fare e della cui inadempienza non intendono nemmeno oggi dare conto. Vogliono proprio avere le mani in pasta su tutto dall’inizio alla fine del processo perché debbono essere loro a gestire questi soldi e a decidere chi dovrà fare gli asili nido nuovi con quei soldi europei e chi no.

Vogliono farci il loro bilancio ordinario, non i progetti di eccellenza per sanità, scuola e riqualificazione territoriale. Per fare gli asili nido e gli ospedali di comunità. Non si tratta ovviamente di bruscolini. Ci sono a bando 15/20 miliardi di fondi per la sanità, risorse come mai viste per il dissesto idrogeologico, altri 20 miliardi solo per i Comuni. Parliamo di qualcosa che vale malcontato 40/50 miliardi e che può fare la differenza sulla strada della riduzione effettiva dei divari territoriali e della conquista di una crescita strutturale sostenibile di lunga durata che riduca il peso del debito pubblico in proporzione al prodotto interno lordo.
Rendetevi conto che oltre a tutto ciò sono disponibili altri 60 miliardi di fondo sviluppo per il settennato 2021-2027 e altri fondi europei strutturali per un ammontare oscillante tra 70 e 80 miliardi. Senza contare i “residui” del programma di coesione 2014-2020 dove, vergogna delle vergogne, si sono spesi a oggi 3 miliardi su 54. Sì, avete capito bene. Di questa medaglia olimpica dell’inefficienza gli amministratori regionali sono i giusti destinatari.

Per tali evidentissime ragioni si ritiene che la norma abilitante che andrà all’esame del prossimo consiglio dei ministri debba estendere la sua area di intervento dai progetti del Recovery Plan a tutti i progetti europei strutturali e di coesione e sviluppo, vecchi e nuovi. Perché solo così la quota del 40% riservata al Mezzogiorno potrà diventare effettiva e, a nostro avviso, potrà come è giusto essere di gran lunga incrementata. Perché la riduzione dei divari territoriali ha bisogno di importi di interventi e di ritmo operativo dei suoi impieghi infinitamente più elevati di quelli preventivati. Questa è la realtà e chi è in buona fede non potrà non riconoscerlo. Anche perché di qui passano l’attuazione del Pnrr e la rinascita dell’intero Paese. Che senza la nuova super crescita strutturale si ritroverà con un debito al 150% del Pil e ritornerà quindi tra i Paesi a rischio default sovrano.

Proprio per la delicatezza della partita in gioco e le evidentissime “deficienze” strutturali, ci permettiamo di suggerire che in sede di predisposizione della nuova norma abilitante si intervenga con criteri nuovi anche nel riparto delle risorse europee del Pnrr per la sanità. Intendiamoci: la prima bozza predisposta dalla sanità che abbiamo anticipato nei giorni scorsi attribuisce alle Regioni del Sud il 40% degli investimenti e, per la prima volta, vanno alla Puglia e alla Campania più risorse di quanto spettano all’Emilia Romagna, al Veneto e al Piemonte. Attenzione, però, questo non basta: se si vuole davvero riequilibrare e ridurre le disparità territoriali, se si vuole davvero centrare l’obiettivo che l’Europa ci ha assegnato, bisogna che la quota di accesso che favorisce le regioni più ricche nella ripartizione delle risorse già ridotta al 60% scenda ancora almeno fino al 40% di modo che la maggioranza delle risorse pari al 60% del totale (e non il 40%) tocchi al Sud per fare i suoi ospedali di comunità, acquisire macchinari, digitalizzare tutte le strutture amministrative.

Questo significa coerenza meridionalista del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Questo significa provare sul serio a restituire all’Italia il suo secondo motore. Questo significa operare concretamente perché le due Italie mai così distanti comincino a riunificarsi e affiancare il secondo motore che è il Sud al primo che è il Nord. Questo significa ragionare da sistema Paese adulto e avere l’ambizione di fare dell’Italia la locomotiva d’Europa.

Tutto ciò è possibile solo se il Mezzogiorno si mette o viene messo nelle condizioni di tornare a fare investimenti pubblici e a mobilitarne di conseguenza molti di privati. Perché, come sosteneva il partigiano milanese Morandi, l’Italia sarà il Mezzogiorno industriale che sarà. Sono passati tanti anni, ma siamo sempre lì. Oggi, però, bisogna crederci e operare perché un nuovo ambiente infrastrutturale e condizioni di vantaggio per chi fa impresa di mercato nel Mezzogiorno scandiscano la rinascita del Paese intero. Ogni altra ipotesi fuori da questa si rivelerà effimera. Partiamo con la nuova norma abilitante e non molliamo su tutto il resto. Sono certo che le sorprese positive dalla prima linea del territorio che sono le amministrazioni comunali potranno essere davvero numerose. Aspettano solo di essere liberate dal cappio oppressivo di questo o quello tra i viceré regionali del Sud e del Nord.


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