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Il ministro Andrea Orlando

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Ministro Orlando Sveglia, l’impegno è stato preso a dicembre, siamo a giugno e non è successo nulla. Si lascia che un fiume in piena di circa 9 miliardi di erogazioni assistenziali annue scorra indisturbato senza filtri di nessun tipo, senza l’offerta di opportunità di impiego di nessun tipo, senza controlli né sugli abusi nell’utilizzo né sui rifiuti non formalizzati di occasioni reali di lavoro lasciate volutamente cadere.

Si sta bloccando la crescita di economie territoriali in espansione, come è emerso ormai chiaramente a Napoli dove finalmente l’industria turistica e culturale producono domanda strutturale non più mordi e fuggi e esigono che servizi, alberghi, commercio, artigianato e indotto girino a pieno regime. Ministro Orlando ci sa dare una ragione una per la quale non è ancora partita la macchina dei colloqui mensili con i singoli percettori di assegno per conoscerne il profilo di competenze e studiarne l’avvio al lavoro possibile? Questi ritardi denotano grave sottovalutazione politica e allarmante incapacità operativa

Ministro Orlando, sveglia: Non fare i decreti attuativi è una colpa non redimibile

Non fare i decreti attuativi della riforma del reddito di cittadinanza dove sono impegnati circa 9 miliardi del bilancio pubblico italiano per il 2022 è una colpa non redimibile in termini di dignità della politica e delle persone.

L’impegno è stato preso a dicembre, siamo a giugno e non è successo nulla. Andrea Orlando, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, ne risponde personalmente e, forse, ancora più di lui o almeno quanto lui ne rispondono i suoi collaboratori di gabinetto e amministrativi che con il solito gattopardismo italiano non muovono foglio. Lasciano che un fiume in piena di circa 9 miliardi di erogazioni assistenziali annue scorra indisturbato senza filtri di nessun tipo, senza l’offerta di opportunità di impiego di nessun tipo, senza controlli né sugli abusi nell’utilizzo né sui rifiuti non formalizzati di occasioni reali di lavoro lasciate volutamente cadere.

Si sta bloccando la crescita di economie territoriali in espansione, come è emerso ormai chiaramente a Napoli dove finalmente l’industria turistica e culturale producono domanda strutturale non più mordi e fuggi e esigono che servizi, alberghi, commercio, artigianato e indotto girino a pieno regime. Si nega un profilo di lavoro non assistenziale a chi ne ha le competenze condannandolo viceversa a crogiolarsi in un bozzolo perverso di sussidio assistenziale e arrotondamenti con lavoretti in nero. La politica che pensa di fare voti su questo circuito perverso di protezioni indebite è il male irredimibile della società meridionale e questo giornale non farà sconti per nessuno perché si fanno giochetti onerosi sulla pelle dei nostri figli e si brucia il loro futuro.

Ministro Orlando sveglia, ci dia una ragione dei ritardi

Ministro Orlando, ci sa dare una ragione una per la quale non è ancora partita la macchina dei colloqui mensili con i singoli percettori di assegno per conoscerne il profilo di competenze e studiarne l’avvio al lavoro possibile? Perché non si sono fatti ancora i decreti attuativi che consentono alle strutture pubbliche di riorganizzarsi e fare il lavoro promesso che in realtà non avviene perché non sanno o non vogliono farlo o, nel caso più nobile, non hanno le risorse umane per farlo? Che cosa impedisce di vergare quei due o tre articoletti di legge che permettono di usare le agenzie private di lavoro, cosiddette interinali, per fare lo stesso lavoro che le strutture pubbliche non riescono a fare?

Sono o no questi impegni tutti assunti con il massimo di obbligazione morale, oltre che civile, in sede di approvazione della legge di bilancio quando a spese dell’intera collettività si è decisa la più colossale opera di sostegno al reddito per chi ne è sprovvisto, addirittura aumentandone gli importi?

C’è una grave sottovalutazione politica e una allarmante incapacità operativa

Con quale faccia andate sproloquiando di salario minimo, scelta che a nostro avviso se collegata alla contrattazione collettiva e ben calibrata può essere utile, senza essere stati capaci di fare partire almeno i colloqui mensili per valutare l’occupabilità delle persone e soddisfare la domanda di lavoro del terziario e industriale che in una città come Napoli in pieno rilancio rimane totalmente inevasa? Diciamocela tutta: questi ritardi denotano grave sottovalutazione politica e allarmante incapacità operativa. Sono incompatibili con qualunque progetto di resilienza della nostra economia e di riduzione dei divari territoriali dentro un quadro internazionale che è segnato da un conflitto ormai mondiale, e non solo di civiltà, e che fa i conti con la grande crisi degli approvvigionamenti energetici e agricoli e la morsa dell’inflazione che sottrae al Paese i vantaggi della politica monetaria espansiva.

La via da percorrere è quella della produttività

Questi comportamenti quanto meno negligenti sono una vergogna assoluta e vanno velocemente superati. Questo Paese si deve mettere in testa che la via da percorrere è quella della produttività che può davvero fare crescere opportunità di lavoro e salari, ma che tutto ciò va fatto oggi, non domani, ognuno nel suo. Combattendo derive assistenzialiste che tendono a cronicizzarsi e storiche difese corporative lobbistiche e istituzionali che tengono in pugno da decenni il futuro di questo Paese.

Il nuovo ballon d’essai dell’autonomia differenziata fa parte di questo vizio disgregatore italiano di ordine naturale da un ventennio in qua. Riconosciamo alla ministra Gelmini di avere svolto un lavoro importante di coordinamento delle Regioni per la definizione dei progetti bandiera e il loro effettivo inserimento nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza così come siamo consapevoli che l’articolo 3 del suo disegno di legge sull’autonomia differenziata dispone che nei settori vitali “è condizione necessaria per il trasferimento delle funzioni e delle risorse corrispondenti la previa definizione dei livelli essenziali di prestazione”.

L’autonomia avvantaggia le regioni più ricche

Resta, però, il fatto che quantificare il costo di una simile operazione oggi è praticamente impossibile perché bisogna prima stabilire qual è il livello a cui fissare le prestazioni in quei settori. Poiché oggi non si possono avere nuovi costi, si deve fare tutto con le risorse vigenti e bisogna, dunque, togliere le risorse ai ministeri per darle alle Regioni che le chiedono peraltro furbescamente sotto la forma di gettito prodotto nei loro territori.

È evidente che così l’autonoma avvantaggia le regioni più ricche a danno delle altre. Perché altrimenti si dovrebbe varare un fondo di solidarietà che perequi le risorse disponibili e a quel punto quei soldi che non ci sono qualcuno li dovrebbe mettere. Siamo seri, ma davvero si può immaginare un livello di prestazioni per la scuola diverso sul territorio nazionale a seconda di dove vivi? Sulla salute i cosiddetti Lea, che sono l’omologo dei livelli essenziali di prestazione, ci sono, ma se si decide di differenziare in base al gettito chi ci guadagna?

Non è il tempo di nuove ipocrisie

Non è il tempo di nuove ipocrisie. Come combattiamo le derive assistenzialiste del reddito di cittadinanza nel Mezzogiorno con la stessa forza ribadiamo che il vizio elettorale di scorciatoie federaliste all’italiana fanno male alla crescita economica e civile dell’intero Paese. Alla lunga, questa volta, sarà proprio il Nord a pagare il prezzo più alto perché l’ipotetica autonomia finirebbe con assestare un colpo pesantissimo a quell’azione in atto di recupero del Mezzogiorno di cui lo stesso Nord ha vitale bisogno nel medio termine per mettere alle spalle il ventennio italiano della crescita zero. Non ripetiamo gli errori del passato recente.


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