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Antonella Valenti (Unical)

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Intervista ad Antonella Valenti, direttrice del corso di specializzazione sostegno dell’Unical sul futuro di una scuola che rispetti le unicità

LE migliaia di aspiranti corsisti dell’VIII Ciclo del Corso di specializzazione per il Sostegno didattico agli alunni con disabilità, attivato per l’anno accademico in corso dall’Università della Calabria, sono in attesa dei risultati della prova scritta. Le Commissioni nominate dal rettore, Nicola Leone, completeranno i lavori entro la seconda decade di questo mese di agosto.

L’UniCal vanta una consolidata e blasonata tradizione nel contesto della formazione dei docenti. Per farci raccontare uno dei centri di gravità intorno al quale ruota il cambiamento che sta vivendo in questi anni l’universo scuola abbiamo intervistato la professoressa Antonella Valenti, tra i massimi esperti italiani nell’ambito della didattica speciale, ordinaria di Didattica e Pedagogia speciale, delegata del rettore per l’inclusione degli studenti con disabilità/dsa e, soprattutto, direttrice del corso di specializzazione per il sostegno didattico dell’UniCal.

Qual è oggi il valore della formazione dell’insegnante specializzato?

«Se è vero che ogni professione necessità di aggiornamenti continui, questo è ancora più vero per quello che riguarda quella dell’insegnante. La scuola italiana è soggetta a continui mutamenti, anche molto veloci, per rispondere alle pressanti istanze della società esterna. I docenti devono perciò affrontare continue sfide, legate a situazioni e contesti sempre più eterogenei. Non sono più adeguati i vecchi modelli educativi e formativi perché gli studenti, provenienti da realtà culturali e storie personali molto diverse tra loro, necessitano di un approccio nuovo e dinamico.
Per quello che riguarda l’insegnamento speciale, l’Italia ha avuto il merito di essere stata la prima nazione ad aver abolito le classi speciali e differenziali: il 4 agosto del 1977 veniva emanata la legge 517 che modificava l’assetto organizzativo della scuola italiana inserendo nelle classi comuni gli alunni con disabilità. Sono passati 46 anni nei quali è andata via via maturando la cultura dell’inclusione e i docenti italiani sono certamente molto preparati da questo punto di vista. I modelli pedagogici per l’insegnamento speciale sono in continua evoluzione, oggi a scuola viene applicato il modello biopsicosociale dell’Icf (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) che propone l’analisi delle barriere e dei facilitatori per favorire i processi formativi degli studenti con Bisogni educativi speciali (Bes).
Questo modello, tuttavia, è ancora imperniato sul modello medico poiché in relazione al processo di integrazione degli alunni con disabilità, e/o identificati come aventi bisogni educativi speciali, nella scuola ordinaria e alle relative soluzioni didattiche di sostegno. In questo modello, il focus dell’intervento è ancora l’alunno con difficoltà di apprendimento, con problematiche che devono essere risolte attraverso fornitura di strumenti compensativi, misure dispensative e insegnamento speciale. Ma questa interpretazione non riduce, forse, il concetto di inclusione a sinonimo di integrazione? Per questo motivo è necessario formare tutti gli insegnanti, e principalmente quelli specializzati per il sostegno, a un approccio sistemico che interpreta il concetto di educazione inclusiva come processo di cambiamento del sistema educativo e scolastico ordinario al fine di trasformarlo in una comunità di apprendimento adeguata a tutti gli alunni; una scuola, quindi, adeguata a sostenere e a rispondere alla differenza insita in ciascun alunno.
L’insegnante specializzato se formato a un modello di progettazione universale per l’apprendimento (Universal Design for Learning-Udl) potrebbe essere il mezzo per completare quel progetto culturale avviato quasi 50 anni fa, promuovendo l’eliminazione della standardizzazione dei curricoli e di un sistema scolastico che discrimina sulla base di criteri diagnostici o di appartenenza a contesti culturali differenti. L’insegnante specializzato come portatore di innovazione, anche tra i docenti curriculari ancora convinti che gli alunni con bisogni educativi speciali e/o con disabilità siano esclusivamente di competenza di personale specializzato (psicologi, insegnanti specializzati) e non anche loro».

Abbandonando dunque il mito dello studente medio…

«Certo. Senza bisogno, quindi, di andare a classificare minus e plus, andando a creare dunque una categorizzazione di persone. Il modello italiano è quello che si sposa di più con il modello sociale che mira a creare pari opportunità ed equità, concetto molto diverso da quello di uguaglianza. Ricercare l’uguaglianza significa fornire a tutti la stessa cosa, ricercare l’equità significa fornire a tutti le stesse opportunità, a ciascuno ciò di cui ha bisogno.
La sfida che si pone ai nuovi docenti specializzati sul sostegno è questa: lavorare per una scuola che sia equa, non che tratti tutti allo stesso modo, nel rispetto dell’unicità della persona: “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” (Frase resa celebre da K. Marx ma tratta dagli Atti degli apostoli – cfr. At 4, 35 Ndr). Nel percorso di formazione alla specializzazione per il sostegno che si tiene all’UniCal poniamo con forza l’accento su questo punto».

Come è strutturato il corso di Specializzazione sul sostegno all’UniCal?

«Noi lavoriamo con corsisti che arrivano da ambiti disciplinari molto diversi. Nel primo periodo del corso si insiste molto sull’analisi dei loro “modelli impliciti” rispetto alla percezione della diversità ed anche sull’analisi delle motivazioni che li hanno indotti alla scelta di questo percorso formativo. Si parte quindi dal modo di concepire e di parlare della diversità, sottolineando l’importanza dell’uso di una corretta terminologia da parte degli insegnanti. La parola va ad esplicitare il modo in cui si pensa alla diversità e alla disabilità.
Quindi prima operiamo su un cambiamento di prospettiva, poi sul concetto di Cultura dell’inclusione, e poi vengono forniti gli strumenti per diventare anche esperti in didattica speciale. Ma tutto parte dalla motivazione. Conoscere metodologie, strategie, strumenti e tecnologie compensative serve a ben poco se non si prende atto dell’importanza dell’utilizzo di questi strumenti in un’ottica inclusiva. Questo è per me il corso per la specializzazione sul sostegno: un percorso di crescita culturale, un cambiamento, o un rafforzamento, di prospettive».

Prendendo in considerazione le iscrizioni alle preselettive dei quattro gradi di scuola (infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado), si contano migliaia di aspiranti corsisti, che provengono da diverse regioni. Perché, secondo lei, da tutta Italia scelgono l’UniCal?

«L’UniCal storicamente ha occupato una posizione centrale nella formazione degli insegnanti nei confronti anche degli altri atenei, che pur hanno dimostrato questa sensibilità e attenzione in tempi più recenti. Chi si iscrive ai nostri percorsi sa che noi chiediamo un particolare impegno, forse qualcosa di più di quanto ci si possa aspettare. Siamo al tempo stesso molto severi nelle valutazioni, perché crediamo moltissimo nell’importanza della formazione. È questo che ci restituiscono i corsisti quando presentiamo questo percorso: si dichiarano ben consapevoli della richiesta di impegno a cui vanno incontro, ma affermano che la loro scelta è ricaduta sull’UniCal anche per questo motivo.
Al di là del denso percorso formativo e anche di un’attività finalizzata alla ridefinizione del sé, sotto il profilo della visione dell’inclusione, quello che cerchiamo di trasmettere è che il corso non è una maratona ma un viaggio, non è un conto alla rovescia per capire quante ore mancano per arrivare alla fine. Abbiamo in tal senso un riscontro positivo. I corsisti possono assentarsi in percentuale del 25% delle lezioni. Da un’analisi delle frequenze dell’ultimo anno è emerso che la stragrande maggioranza non usufruisce di questa percentuale, partecipando non solo alle ore di formazione e ai laboratori, ma anche ad attività fuori programma, quali giornate seminariali, nelle quali abbiamo coinvolto esimi colleghi, per citarne solo alcuni, quali Lucio Cottini e Cesare Cornoldi, che sono ormai ospiti costanti da diverse edizioni».

Quanto tiene l’UniCal a questo percorso formativo?

«L’UniCal ci tiene molto, anche perché rappresenta una sua importante e consolidata tradizione, essendo stata anche tra i primi atenei a varare il corso di laurea abilitante in Scienze della Formazione primaria, ed essere stata poi sede dei corsi Ssis per l’abilitazione all’insegnamento nelle secondarie. Grazie all’impegno dei nostri uffici amministrativi, con il preciso, dinamico e instancabile Ferdinando Rossi in prima linea, con mai abbastanza risorse rispetto all’impegno richiesto, l’UniCal è sempre riuscita a soddisfare le richieste dal punto di vista numerico e organizzativo.
Per fare un esempio l’anno scorso, tra i vari gradi, erano coinvolti circa 1.200 corsisti. Può immaginare che sforzo titanico sia coordinare e dirigere migliaia di studenti in un corso intensivo, oltre che il corpus docente. Non abbiamo mai contratto questi posti, anzi, cerchiamo di sostenerne un progressivo aumento. Ci sono sedi universitarie storiche che hanno molti più docenti strutturati che possono dare il proprio contributo qualificato, quindi anche sotto questo punto di vista, date le minori risorse, lo sforzo è notevole, e viene portato avanti perché c’è l’assoluta consapevolezza dell’importanza della formazione, soprattutto in merito al sostegno, nella scuola che, come detto, sta evolvendo. Il corso è importante per tanti insegnanti calabresi, e anche per l’ateneo.
Lo è per tutti i docenti del corso, per lo staff dei tutor, per la segreteria, per tutti coloro che si spendono, senza risparmiare energie e con il massimo impegno, per far funzionare una macchina così grande e complessa. Una fonte soprattutto di orgoglio per chi comprende il valore della formazione degli insegnanti. Va sottolineato come il rettore Nicola Leone sia sempre stato molto attento alla formazione degli insegnanti, infatti, ha inserito nel suo programma elettorale proprio il potenziamento di questo ambito, tanto è vero che ha dotato l’ateneo di una delegata alla formazione degli insegnanti che è la professoressa Anna Maria Canino, la quale è sempre stata presente, fattiva e concreta in ogni situazione, supportandoci in tanti momenti. Siamo una bella squadra, composta da docenti, personale tecnico amministrativo e tutor, sicuramente destinata a crescere».

In questi giorni sono in corso le prove preselettive per l’ingresso all’VIII Ciclo di Specializzazione sul Sostegno. Ha qualche consiglio per gli aspiranti corsisti?

«Premesso che quello che dovrebbe essere un processo di specializzazione a volte è un processo di inizializzazione gli aspiranti corsisti dovrebbero rispolverare le competenze specifiche indicate dal bando e le competenze didattiche. Il linguaggio utilizzato sia nella prova scritta che in quella orale è molto importante perché rappresenta la traduzione del modo di pensare e di porsi in parole».

Alla vigilia dell’VIII Corso di Specializzazione sul Sostegno è possibile fare un bilancio di quanto costruito in questi anni?

«La scuola, la professione del docente e soprattutto quella del docente di sostegno è molto cambiata negli ultimi anni. Io, come direttore del corso, e i miei colleghi docenti, speriamo in tanti anni di formazione di aver contribuito a questo cambiamento. L’UniCal è stata sicuramente un’agente del cambiamento in Calabria e in Italia, anche grazie ai tanti docenti formati con una precisa visione, con un determinato approccio al mondo della didattica legata alla disabilità come neurodiversità.
Di questo abbiamo riscontro dagli stessi insegnanti, da noi formati, e dai loro dirigenti scolastici, ma anche dagli stessi tirocinanti, che nelle loro relazioni finali, frutto del tirocinio attivo che svolgono nelle scuole, raccontano spesso l’incontro con docenti molto preparati, con realtà scolastiche che perseguono, concretamente, la realizzazione di un modello di inclusione moderno e innovativo. Certo, è innegabile che esistano ancora delle discordanze tra l’apparato teorico, quello legislativo e quello reale.
Questo iato, questa differenza tra quanto previsto, quanto attuato e quanto attuabile è la misura che i nostri specializzati possono e devono colmare con il loro impegno, negli anni. Lo dobbiamo in primo luogo a noi stessi che crediamo e operiamo nel mondo della didattica, della formazione, e della scuola, sia come docenti che come educatori. Ma lo dobbiamo soprattutto agli studenti e alle famiglie, cariche di molte aspettative nei confronti del mondo scuola e dei docenti di sostegno. Questa tensione positiva tra scuola, docenti e genitori va accolta, mentre bisogna rigettare ogni forma di contrapposizione».

Quale deve essere il rapporto che si viene a creare tra scuola, la famiglia, gli insegnanti di sostegno e gli studenti?

«La famiglia, i genitori, la scuola, gli studenti devono essere complici nel costruire un progetto di vita per i discenti. C’è bisogno di una grande sintonia. È necessario lavorare in un’ottica di alleanze educative e non sul singolo “caso”. la parola “caso” a scuola andrebbe evitata, fa parte di quel lessico di tipo clinico che non trova spazio nel modello sociale che la scuola italiana persegue. Abbiamo una comunità che si educa vicendevolmente in una prospettiva condivisa. Ciò porta ad una maggiore attenzione al lessico, alle parole, agli atteggiamenti, agli aspetti relazionali, alla capacità di lavorare in équipe».

Si è da poco concluso il VII Ciclo del Corso per la specializzazione del sostegno. Cosa porta con sé dell’esperienza conclusa nel nuovo percorso che inizierà in autunno?

«Nel percorso che si è da poco concluso c’è stato intanto il piacere di ritrovarsi in presenza, perché i precedenti cicli erano stato penalizzati dall’obbligo di didattica on line a causa della pandemia. Abbiamo registrato, col ritorno in presenza, una maggiore motivazione e attenzione da parte della stragrande maggioranza dei corsisti. Abbiamo percepito, condividendo l’aula con loro, il piacere dell’incontro e del trovarsi. Al di là della preparazione che abbiamo riscontrato nei corsisti a conclusione di questo percorso, in termini semplicemente numerici sotto i profili qualitativi e quantitativi, la media dei voti è stata maggiore rispetto agli anni passati, circostanza che rispecchia questo rinnovato interesse e questa forte motivazione.
Ma al di là di questo dato specifico, quest’anno abbiamo registrato in tutti i corsisti, indipendentemente dal grado, grande attenzione, entusiasmo e motivazione. Ma non solo. Ci ha colpito una grande complicità tra i corsisti di quest’anno. Si era creato una vera e propria comunità, nel senso autentico della parola. Quando entravamo in classe percepivamo una voglia di comunicare tra i corsisti, di collaborare, di supportarsi vicendevolmente, e di confrontarsi su ciò che stavano apprendendo e che ciò che portavano nel loro bagaglio di esperienze. Se questo stesso atteggiamento sarà mantenuto nella loro professione vorrà dire che siamo riusciti a promuovere delle competenze trasversali utilissime per la loro professione.
Qual è la competenza migliore e indispensabile in questa relazione d’aiuto che si crea tra il docente di sostengo, il discente, i colleghi e la famiglia se non proprio il lavoro di squadra e il raccordo cooperativo? Se manca quello l’inclusione resta un’utopia così come l’Universal Design for Learning. L’umiltà al confronto, la consapevolezza che ogni alunno, come ogni corsista, è unico e dell’importanza nel non generalizzare, permettendo così di personalizzare ogni percorso, sono elementi che ho percepito forti in questo settimo ciclo. Sono sicura che tutti loro sapranno porsi in ascolto, osservare molto, studiare, confrontarsi e andare alla ricerca delle soluzioni, ma non improvvisando, bensì guidati dai modelli teorici proposti durante le lezioni e dell’esperienza maturata durante il tirocinio. Saranno dei bravi docenti. La nostra scuola e la nostra società ne hanno infinitamente bisogno».

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