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Giorgio Napolitano, morto oggi a 98 anni

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GIORGIO Napolitano, morto oggi a 98 anni, è il primo dei Presidenti timonieri della Repubblica italiana. Il primo è stato lui, il secondo è Sergio Mattarella. Hanno salvato il Paese in storie e situazioni differenti quando ne erano a rischio la credibilità internazionale e entrambi sono stati chiamati dal Parlamento al secondo mandato. Sono due statisti. Il primo ha fatto la storia di questo Paese, dando il meglio di sé nel primo mandato. Il secondo la sta facendo dando il meglio di sé nel secondo dopo avere fatto benissimo nel primo.

Voglio ricordare solo due episodi di Giorgio Napolitano il più crociano dei comunisti italiani, il più internazionale dei socialisti europei, un senso profondo della cultura delle istituzioni e l’amarezza che scava dentro per lo strappo tra Nord produttivo e Sud assistenzialista mai ricomposto. Voglio ricordare, ripeto, solo due episodi che ne danno il senso compiuto di uomo delle istituzioni di un’Italia che pesa nel mondo e sa farsi rispettare. Il primo riguarda la visita di Stato in Germania, alla presenza della cancelliera Merkel e del presidente della Repubblica federale tedesca, perché nessuno si permettesse di porre un veto sulla candidatura di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea assecondando venti interni di quel Paese che dicevano più o meno così: “va bene tutto, ma l’italiano no”. Sono momenti in cui i Capi di uno Stato possono cambiare il quadro e difendere fuori casa l’interesse del Paese o lasciare che tutto si consumi senza toccare palla. Giorgio Napolitano e Gianni Letta sono gli uomini che con ruoli diversi e modalità di comportamento differenti più di tutti hanno permesso all’Italia di non perdere la grande occasione della nomina di Draghi come capo dell’unico governo europeo esistente che è quello della moneta. Si deve molto a lui in particolare, Giorgio Napolitano, se un grande italiano come Draghi ebbe la guida della Bce e salvò l’euro e l’Europa. Questo suo merito storico è stato poco raccontato.

Il secondo appartiene alla stagione della grande crisi dei debiti sovrani e al rischio reale che l’Italia diventasse la nuova Argentina o la Nuova Grecia perché non è vero che gli Stati non possono fallire e noi eravamo a un passo dal default sovrano. In quella stagione il Paese aveva già una delle due gambe nel burrone e si riuscì a tirarlo su un attimo prima del precipizio. Gran parte di questo secondo merito storico appartiene a lui. Quando mi chiesero di intervistarlo al Quirinale per dare un messaggio di responsabilità al Paese praticamente su tutte le reti, allora ero direttore del Sole 24 Ore, percepii la sofferenza dell’uomo, le complicazioni dentro e fuori, ma anche la lucidità dei grandi timonieri. Uscii da quell’incontro rinfrancato e capii che ce l’avremmo fatta. Fu così. Anche di questo è stato poco ringraziato.


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