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POTENZA – Chi blocca il lavoro del pm? è quello che chiedono di sapere Elisabetta Zamparutti, deputato radicale, e il segretario dei Radicali lucani Maurizio Bolognetti.
«La lettura dell’intervento di Paride Leporace dedicato ai veleni lucani, lascia inquieti e attoniti. Apprendiamo con preoccupazione e stupore del diniego opposto alla richiesta del pm Basentini finalizzata a poter disporre di strumenti tecnologicamente avanzati da utilizzare nelle indagini sul traffico di rifiuti tossici. In particolare, la procura di Potenza avrebbe chiesto di poter disporre del sistema di telerilevamento Dedalus, in dotazione alla Gdf. Facciamo fatica a comprendere le ragioni del diniego. Comprendiamo, però, benissimo che l’aver negato i mezzi necessari allo svolgimento di un’importante indagine, ha di fatto impedito l’accertamento della verità. Sapere che importanti indagini che riguardano la tutela della salute dei cittadini lucani si sono arenate perché qualcuno ha ritenuto eccessivi i costi derivanti dall’utilizzo di una tecnologia, che sarebbe stata di grande aiuto per gli inquirenti, provoca un moto di indignazione».
Ecco l’interrogazione. Prima firma Elisabetta Zamparutti: al ministro della Giustizia, al ministro dell’Ambiente, al ministro della Salute. «Premesso che: da un articolo pubblicato dal Quotidiano della Basilicata del 14 ottobre a firma Paride Leporace emerge che il pubblico ministero Francesco Basentini si era attivato per ottenere l’impiego di moderne tecnologie di telerilevamento aereo per poter accertare la presenza di rifiuti tossici in aree della Basilicata; la tecnologia Lara in dotazione al Cnr è ritenuta utile ai fini delle ricerche di rifiuti tossici così come diverse società pubbliche e private che hanno bisogno di conoscere i diversi parametri delle mutate condizioni naturali ed antropiche del sottosuolo fanno ricorso allo scanner iperspettrale Mivis; la Guardia di Finanza di Roma risulta inoltre essere dotata di un telerilevamento chiamato Dedalus che è in grado di accertare con sicurezza le aree in cui sono sepolti i rifiuti radioattivi, tecnologia che è stata ad esempio utilizzata in un’inchiesta della Dda pugliese per verificare l’attendibilità di alcune dichiarazioni di un pentito legato alla Sacra corona unita; come ricordato nell’interrogazione 4-04174, il pentito Fonti ha dichiarato, in merito all’affondamento delle navi dei veleni, che si era deciso di farne affondare “una verso lo Ionio, a Metaponto, e l’altra verso Maratea”; dopo il ritrovamento del relitto Cetraro, la nave Astrea è giunta nelle acque di Maratea dove sta effettuando ricerche in mare senza punti di riferimento, con l’unico dato a disposizione degli operatori chiamati a scandagliare le acque del Golfo di Policastro consistente nelle indicazioni di alcuni pescatori del posto che hanno parlato di un punto dove spesso le reti si sono impigliate; a giudizio degli interroganti la vicenda ricorda molto quanto accadde oltre dieci anni fa, quando l’ex sostituto procuratore di Reggio Calabria Francesco Neri, chiese nel 1995, al Ministero della Giustizia dell’allora Governo Dini risorse che furono negate senza una spiegazione per ricerche che voleva condurre la procura di Reggio Calabria che stava indagando sull’affondamento al largo delle coste calabresi di alcune navi dei veleni; come ebbe a dire Francesco Neri nel corso di un’audizione in Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti il 18 gennaio 2005 “avevo chiesto alla Nasa di aiutarmi nella ricerca per cui con determinati satelliti saremmo riusciti a trovare le navi” in tutto una trentina; quando l’indagine passò nelle mani della Direzione distrettuale antimafia, il sostituto procuratore Alberto Cisterna ottenne dal Ministero dell’Ambiente l’autorizzazione a cercare la nave Rigel, ricerca che venne affidata all’Impresub di Trento che scandagliò i fondali nel ’97 costi nettamente superiori a quelli a cui si sarebbe incorsi con l’uso dei satelliti e senza alcun risultato perché, come ebbe a dichiarare lo stesso Cisterna in un articolo pubblicato dal Sole 24 ore del 16 settembre 2009 “le coordinate dichiarate per l’affondamento erano false e la stessa Impresub se ne rese subito conto”». Ecco la richiesta del parlamentare radicale: «Si chiede di sapere: per quale motivo non è consentito ai magistrati lucani ricorre al telerilevamento per l’individuazione di rifiuti tossici; per quale motivo non è consentito verificare l’attendibilità delle dichiarazioni del pentito Fonti con la tecnologia in dotazione alla Guardai di Finanza e denominata Dedalus, come avvenuto nell’inchiesta della Dda pugliese in merito alle dichiarazioni del pentito Annacondia, affidando la ricerca della presunta nave affondata nel Golfo di Policastro ad una imbarcazione che sta procedendo senza coordinate; quali provvedimenti intendano assumere, a tutela della salute e dell’ambiente, per avviare un monitoraggio satellitare sul piano nazionale della presenza di rifiuti tossici e discariche abusive».

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