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Un collaboratore di giustizia che aveva iniziato a parlare dei rapporti tra la camorra e la ‘ndrangheta, è stato escluso dal programma di protezione ed anche da quello provvisorio, perchè la Dda di Catanzaro non ha predisposto il verbale illustrativo delle sue dichiarazioni entro i 180 giorni previsti dalla legge nonostante le richieste dell’uomo di essere sentito per fare nuove dichiarazioni. «La cosa gravissima – ha detto il legale dell’uomo, l’avvocato Maria Grazia Scola – è che nonostante le sue e le mie reiterate richieste c’è stato un silenzio assordante. Non si tratta così un collaboratore di giustizia». L’uomo, un quarantenne napoletano, è stato arrestato in Calabria il 26 marzo 2009 mentre trasportava un carico di droga da Scampia (Napoli) a Isola Capo Rizzuto. Il giorno stesso ha iniziato a fare dichiarazioni al pm Pierpaolo Bruni, all’epoca applicato alla Dda catanzarese, che l’ha sentito anche il giorno successivo. Il 4 aprile, però, Bruni ha concluso la sua applicazione alla Dda. Il collaboratore ha chiesto di essere sentito da un altro magistrato per fare nuove dichiarazioni. Richieste, ha spiegato il legale, reiterate più volte ma a fronte delle quali c’è stata una «inerzia inspiegabile». Nel periodo successivo all’inizio della sua collaborazione, tra l’altro, la casa dove l’uomo abitava, a Napoli, è stata occupata da alcune persone che al padre hanno detto: «questa è la casa di un pentito e la prendiamo noi». Dopo questo episodio, l’avv. Scola ha chiesto che anche i familiari fossero sottoposti a protezione, vedendosi però rigettata la richiesta perchè, le è stato detto, tra i fatti non c’era connessione. Nonostante le richieste scritte e verbali, il nuovo interrogatorio si è svolto solo il 10 marzo scorso a Fiumicino. In quell’occasione il collaboratore ha parlato della situazione campana, tant’è che il verbale è stato inviato alla Dda di Napoli. La Dda di Catanzaro ha quindi predisposto il verbale illustrativo per l’ammissione al programma di protezione, ma oltre i termini previsti dalla legge. Motivo per il quale la Commissione centrale del ministero dell’Interno ha negato la richiesta notificando ieri la decisione al collaboratore. L’uomo, sposato e padre di due figli 8 e 9 anni, sarà costretto adesso a lasciare la casa dove vive in una località protetta. «Finchè le indagini erano coordinate da Bruni – ha detto l’avv. Scola – non solo ha iniziato a collaborare ma il mio assistito ha anche acquistato fiducia. C’era una prospettiva di collaborazione, per come ha tentato di fare. Poi si è trovato di fronte ad un muro». Il legale farà adesso ricorso al Tar del Lazio e presenterà una nuova istanza alla Dda di Napoli.

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