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di Gerardo Casaletto*La questione petrolio così com’è stata affrontata finora sconta un vizio d’origine: si è parlato e si parla molto di estrazioni e di royalties, si è polemizzato e si polemizza molto su come sono state impiegate le ingenti risorse finanziarie derivanti dal petrolio, si è parlato poco o nulla, invece, delle trasformazioni sociali che le estrazioni hanno portato nei territori interessati. Trasformazioni che hanno investito lo stile di vita, le abitudini, i consumi, la cultura di una terra che, a fronte della disponibilità di una ricchezza immensa, è rimasta povera. E allora è lecito domandarsi che fine abbia fatto la retorica del Texas del Sud, della Lucania Saudita, che in questi anni ha distribuito a piene mani illusioni e aspettative, salvo poi scoprire che la realtà è diversa dalla sua rappresentazione.
Il petrolio ha portato una ricchezza effimera, ha drogato i consumi, ha fatto aumentare il costo della vita, ha prodotto povertà là dove prometteva ricchezza, ha compromesso gli equilibri ecologici. Il magro bottino in termini di posti di lavoro è solo la faccia più evidente del paradosso petrolifero lucano, la cartina di tornasole di una mistificazione sociale, di un inganno collettivo. Il Programma Operativo Val d’Agri, salutato come una biblica manna dal cielo, non solo ha deluso le attese suscitate nelle comunità locali, ma ha mancato quasi del tutto quella che era la sua missione dichiarata: mettere a sistema risorse e interventi per favorire uno sviluppo economico sostenibile e duraturo. E mentre lo sviluppo si fa ancora aspettare come il proverbiale Godot, le classi dirigenti locali, evidentemente impreparate a gestire una sfida di tale portata, non è andata oltre il maquillage dei centri storici, nel frattempo beffardamente svuotati dalla ripresa del fenomeno migratorio. Si è scelta, insomma, la vecchia e comoda politica dei finanziamenti a pioggia, delle filiere clientelari, del piccolo cabotaggio, del consenso facile facile che perpetua il potere.
Se guardiamo i principali indicatori economici e sociali della nostra regione (reddito pro-capite, occupazione e povertà) ci rendiamo conto che abbiamo perso, forse irrimediabilmente, un’occasione storica, e del grande inganno petrolifero resteranno in dote ai posteri solo i pozzi esausti e il sapore amaro della beffa. Bel risultato.
Si poteva fare di più e meglio? Si poteva, tanto per iniziare, raccontare la verità. Si poteva dire ai lucani che il petrolio era una risorsa strategica da mettere al servizio del paese. Si potevano coinvolgere le comunità locali e le parti sociali in un grande progetto di sviluppo dal basso, individuando poche e selezionate priorità sulle quali investire le royalties. Si potevano attivare sinergie con le compagnie petrolifere per creare un distretto energetico. Si poteva, in altri termini, costruire intorno al petrolio una rete diffusa di piccole e medie imprese innovative in grado di produrre tecnologia in stretto collegamento con le agenzie del sapere (scuole e università). Si poteva fare dell’oro nero, non la scaturigine di un immaginario Eldorado, ma l’opportunità per creare una cultura d’impresa e del lavoro, legate al petrolio, ma anche alla frontiera della cosiddetta green economy.
Si poteva e forse si può ancora con la franchezza e la trasparenza che una classe dirigente responsabile e capace dovrebbe sempre esercitare. Noi ci crediamo ancora.

*Segretario generale della Femca Cisl Basilicata

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