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L’inchiesta giudiziaria all’ospedale San Carlo di Potenza, fermo restando le responsabilità individuali, è il campanello d’allarme del degrado in cui versano le nostre istituzioni.
È inaccettabile che si debba scaricare il peso dell’irresponsabilità di alcuni rappresentanti delle istituzioni ed operatori sanitari sulle spalle di cittadini, lavoratori e pensionati.
Quanto è accaduto al San Carlo, la struttura sanitaria più importante la nostra regione, deve spingere tutti a rimettere al centro della propria azione il rapporto fra legalità e governo, fra legalità e cittadini, fra legalità e sistema economico regionale. A nostro avviso bisogna aprire immediatamente un dibattito circostanziato che porti all’affermazione di una diversa cultura della
gestione del sistema sanitario pubblico, e non solo, partendo dalla necessaria e indifferibile assicurazione di trasparenza nelle nomine e nei concorsi pubblici. Per far affermare una nuova cultura della gestione dei beni pubblici bisogna prima di tutto puntare sull’azione riformatrice degli uomini e delle donne chiamati a ricoprire incarichi di direzione, che devono fare dell’etica pubblica la principale fonte di ispirazione nell’ottica del bene collettivo e generale.
La posta in gioco, infatti, è troppo importante e riguarda la partita della qualità delle prestazioni per la tutela della salute, che deve essere garantita in un panorama di crescente riduzione di risorse ed all’interno di un quadro europeo e nazionale caratterizzato da una stretta sul versante del patto di stabilità. È venuto il tempo di affrontare, con determinazione e senso di responsabilità, la questione degli appalti e delle forniture, spezzando il circolo vizioso fra gestione politica e interessi delle imprese, combattendo la logica delle nomine “politiche” ai massimi vertici di Enti e strutture, ad ogni
livello, far prevalere il merito: questo sarebbe un vero segnale di innovazione.
Bisogna assumere la trasparenza come valore imprescindibile nella realizzazione delle procedure di gara e negli affidamenti, eliminando la discrezionalità e la possibilità di fare clientele che minano nelle fondamenta il valore sociale delle nostre istituzioni. L’unica e più importante discriminante rimane la clausola sociale, che attiene alla salvaguardia dell’occupazione e all’applicazione dei contratti nazionali di lavoro.

Antonio Pepe (Cgil)

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