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TANTO rumore per nulla. Potrebbe riassumersi così la sensazione della famiglia Orioli, dopo la lettura della perizia autoptica sulle salme di Luca Orioli e Marirosa Andreotta, i fidanzatini di Policoro, morti nell’abitazione della ragazza 23 anni fa. Infatti, a cinque mesi dalla laboriosa stumulazione dei resti nel cimitero di Policoro, il professor Francesco Introna, medico legale consulente del pubblico ministero Rosanna De Fraia, che coordina le nuove indagini, è tornato indietro al lontano 1994, quando il suo collega (oggi in pensione), Luigi Strada, dopo un’esame piuttosto rapido, concluse che Luca e Marirosa erano morti per avvelenamento da monossido di carbonio. Tutto sarebbe lineare, lasciano intendere Olimpia Fuina, la mamma di Luca, e il suo avvocato Francesco Auletta, se non si dimenticasse che, nel frattempo, a due anni dalla prima conclusione di Strada, nel 1996, in una perizia collegiale, i professori emeriti Giancarlo Umani Ronchi e De Zorzi avevano definito “fantasiosa” l’ipotesi di morte naturale in quanto non c’era alcun elemento concreto che avvalorasse la tesi del decesso per choc elettrico o intossicazione da ossido di carbonio.
Quest’ultimo elemento era avvalorato anche da una perizia tecnica sulla caldaia di casa Andreotta, dove gli ingegneri Fedele e Mastrantonio non rilevarono alcuna anomalia sul funzionamento dell’apparecchio. Ma c’è di più, perché nel 1994 la famiglia Orioli querelò di professor Strada (che aveva sostenuto la tesi dell’avvelenamento) per falsa perizia. Il procedimento si prescrisse nel 1996 e il medico legale rinunciò ad andare in giudizio per difendersi da un’accusa professionalmente infamante.
Oggi Introna torna indietro, ricostruendo anche la dinamica dei fatti avvenuti quella sera del 1988. Secondo il professore e la sua assistente, Simona Corrado, Marirosa stava facendo la doccia, quando avrebbe perso i sensi improvvisamente per effetto dell’inalazione di monossido di carbonio sprigionatosi dalla caldaia interna al bagno; cadendo avrebbe battuto violentemente la nuca al pomello della doccia, procurandosi quella ferita sospetta a mezza luna che sanguinava anche ad alcune ore dalla morte. Luca, vedendo la ragazza accasciarsi, avrebbe tentato il salvataggio, ma nel frattempo avrebbe subìto anche lui gli effetti del monossido.
Una tesi avvalorata, secondo il professore del Policlinico di Bari, dalla presenza di carbossiemoglobina allo stato gassoso, rimasta imprigionata nel tessuto muscolare dei due ragazzi. Pare che le quantità rilevate non siano particolarmente consistenti, anche se maggiori nei tessuti di Luca, che sarebbe stato il secondo a morire. Dal residuo nella salma di Luca, Introna stabilisce con una certa sicurezza che, all’inizio, la quantità di gas venefico nei tessuti di Luca sarebbe stata piuttosto consistente. Olimpia Fuina non accetta questa ricostruzione, ricordando in proposito l’esito della perizia di Umani Ronchi. Poi la porta del bagno era aperta, come confermò al pm Autera la stessa mamma di Marirosa, quindi l’intossicazione sarebbe stata meno facile.
L’avvocato Auletta evidenzia quelle che ritiene le incongruenze nelle conclusioni di Introna, avvalorate anche dalla consulenza di un tossicologo, e sta già lavorando, con i suoi tecnici (il noto professor Bolino de La Sapienza), alla redazione di una memoria da presentare alla Procura di Matera, finalizzata a smentire la perizia depositata lo scorso 5 maggio.
«Non entro nel merito medico-legale -spiega Auletta al Quotidiano- dico solo che potrebbero esserci delle irregolarità nelle procedure seguite per il prelievo dei campioni dalle salme, relativamente al metodo utilizzato e al ruolo dei nostri consulenti». Poi rincara la dose: «Mi sento di affermare con certezza che la ricostruzione del decesso fatta da Introna appare assurda per il lampante contrasto con le testimonianze raccolte negli ultimi 23 anni, con lo stato dei luoghi, le modalità di ritrovamento dei cadaveri e dei vestiti. Stupisce, poi, il fatto che il professore non spenda una sola parola sul mancato rinvenimento dell’osso ioide e di tutti gli organi interni al di sotto della gola del povero Luca, ma anche di Marirosa. Come fa un medico legale a ricostruire in sintesi una morte dovuta al malfunzionamento della caldaia. Tutto mentre la perizia collegiale, dopo otto anni, smentisce chiaramente questa tesi». Quindi, secondo Introna, due ragazzi molto giovani sarebbero stati avvelenati in pochi minuti, per giunta con la porta del bagno aperta.
Ovviamente, non sembra esserci traccia di Dna mitocondriale appartenente a terze persone, sotto le unghia dei cadaveri. «Certo -conferma Auletta- ci sarebbe solo del Dna di Luca sulla salma di Marirosa». La conclusione non soddisfa affatto la famiglia Orioli, che preannuncia una ripresa della battaglia ormai lunga 23 anni.

Antonio Corrado

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