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UN COLORE grigio scuro, maleodora, “sorge” a pochi passi da un pozzo e lungo il suo piccolo percorso non cresce l’erba. Sono queste le caratteristiche principali di una sorgente scoperta dalla professoressa Albina Colella e dal tenente della polizia provinciale Giuseppe Di Bello ubicata in contrada La Rossa nel comune di Montemurro nei pressi di un pozzo di reiniezzone “Costa Molina 2”. Nella zona non ci sono abitazioni ed è dedita principalmente al pascolo di bovini e ovini. Qui la docente universitaria con la collaborazione di Di Bello ha eseguito una serie di rilevazioni dai risultati alquanto «preoccupanti». «Abbiamo raccolto prove sufficienti per rendere pubbliche le rilevazioni che, giova ricordarlo sono state eseguite in un arco di tempo che va da maggio a fine luglio. – ha esordito la docente dell’ateneo lucano – A scanso di ogni equivoco – ha continuato – le analisi sono state eseguite dall’Università della Basilicata in collaborazione con altri atenei italiani. Il tenente Di Bello, inoltre, ha seguito tutte le fasi della campionatura. Quindi – ribadisce – questa ricerca ha un alto valore scientifico». 

Chiarito il rigore con cui sono state eseguite le campionature, la docente dell’Università ha poi elencato le tante anomalie uscite fuori dai campioni analizzati. «La presenza di idrocarburi, ma soprattutto di alluminio sono al di sopra del limite consentito. E’ sconcertante. Ma anche altri elementi come il Boro sono oltre il livello di guardia». Quindi, sencondo le analisi della Colella, la zona risulta essere inquinata. «La cosa più preoccupante – ha continuato il tenente Di Bello è che non bisogna scavare molto per trovare questa sostanza. Basta fare un piccolo buco nel terreno e ci troviamo di fronte a un fenomeno assai preoccupante». La cosa certa per Colella e Di Bello è che la zona è inquinata. 

«Su questo – ha detto Colella – non c’è alcun dubbio. La cosa non certa ma probabile è l’origine dell’inquinamento. Prima di tutto diciamo che continueremo a monitorare la zona, ma l’interpretazione preliminare che ci sentiamo di fare ci fa dire che queste acque somigliano a quelle di produzione petrolifera. Questo tipo di acque – ha continuato la Colella – collegate alle attività petrolifera». Insomma la fonte sarebbe (il condizionale è d’obbligo) petrolifera. «I dati – ha aggiunto il tenente Di Bello – sono stati trasmessi alla Procura. Altri segnalati alla stessa autorità giudiziaria sono finiti con una archiviazione. In questo come in quei casi la questione era evidente. Speriamo – ha concluso – che ci ascoltino».

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