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MELFI – E’ una di quelle  storie di industrializzazione alla lucana, iniziate male e finite ancora peggio. L’ennesima che vede protagonisti i soliti furbetti del “prendi i soldi e scappa”. Solo che questa volta al danno si è aggiunta pure la beffa. E, a distanza di oltre dieci anni, il pubblico, oltre a farsi sottrarre le risorse, si è fatto “scippare” anche il capannone: 11 metri cubi in una zona strategica come quella di Melfi. Doveva essere il sito produttivo della Cervitrium. 

L’azienda  che nei primi anni 2000, con dieci milioni di euro di finanziamenti pubblici previsti dalla legge  488 del 1992, apriva lo stabilimento che doveva produrre vetri ma che non ha mai prodotto nulla.

Dopo il fallimento dichiarato nel 2005, ci avrebbe pensato la Procura di Roma, due anni dopo, a mettere fine alla rampante impresa dell’amministratore della società, Leonardo Di Donna, insieme alla moglie. Ma i guai per il capannone di Melfi non finiscono qui. A metterci le mani sopra, la PTFMR Immobiliare di Napoli che acquista lo stabilimento. Nonostante la sua natura sociale non abbia nulla a che fare con le attività produttive. Fino al 2012.

Quando il Tribunale di Napoli sequestra la società di proprietà dei due fratelli Ragosta, che nel giro di pochi anni, si sono trasformati in un vero e proprio colosso economico, impegnato in attività più che altro dedite al riciclaggio i soldi sporchi della camorra. Come siano arrivati a Melfi, e soprattutto quali “affari” li abbiano portati in Basilicata è ancora tutto da chiarire. Di certo c’è solo che quello che doveva essere un sito produttivo in un’area  strategica come Melfi, tale non lo è mai stato.

Ma la ciliegina sulla torta è arrivato solo di recente. Quando l’Asi di Potenza, davanti alla richiesta dell’amministratore giudiziario dell’azienda sequestrata ha pensato bene di cedere la proprietà.

Il Consorzio industriale, in pratica si è limitato a prenderne atto.

Undici mila metri quadrati, ceduti così. Senza far valore quelle che pure sono le prerogative del Consorzio industriale. Che sarebbe legittimato anche a vagliare misure quali l’esproprio – così come previsto da Statuto – per il riutilizzo a fini produttivi e occupazionali di siti e suoli.

«Continua così lo sperpero dei finanziamenti pubblici e la svendita di importanti risorse nel completo disinteresse di quanti dovrebbero controllare e governare le politiche occupazionali», tuona il presidente del Centro studi economico e sociali, Pietro Simonetti, che ricorda pure: sono circa 100 i capannoni  industriali abbandonati su tutta la Regione, che – attraverso una differente politica industriale – con il loro riutilizzo potrebbero dare lavoro a circa 2.500 persone.

«Anche per queste ragioni – continua Simonetti rivolgendosi all’Esecutivo regionale – appare urgente la definizione di un piano di riutilizzo dei lavoratori e delle aziende nonché   il riassetto dei Consorzi che registrano un forte indebitamento ed non esercitano il ruolo di strumenti per il consolidamento delle attivita’ produttive e lo sviluppo dell’accupazione.

Permane anche l’incapacita’ alla razionalizzazione ed allo svolgimento delle gare, come e’ dimostrato da quelle  per i rifiuti ed servizi del’Asi di Potenza assegnata da mesi ma non contrattualizzata o come l’appalto per l’aeroporto di Pisticci rimasto nei cassetti del consorzio a futura memoria oppure la vicenda della Fellandina finita nel dimenticatoio».

 m.labanca@luedi.it

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