X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

POTENZA – A sparare a Giacarlo Tetta, ad aprile del 2008, sarebbe stato proprio lui: un colpo al petto e in testa il resto del caricatore. Per andare sul sicuro.

E’ quanto ha raccontato agli inquirenti Saverio Loconsolo, 35enne di Melfi considerato a lungo  uno dei colonnelli del clan Cassotta, che da quest’estate ha iniziato a collaborare con la giustizia.

La sua confessione di fronte agli investigatori dell’antimafia di Potenza sarebbe arrivata soltanto in un secondo momento. All’inizio infatti aveva preso le distanze dall’accaduto, salvo fare marcia indietro subito dopo e vuotare il sacco una volta per tutte.

Fin da principio gli investigatori si erano convinti che l’omicidio di Giancarlo Tetta, soprannominato il “cantante” e cugino del boss Rocchino Delli Gatti, ucciso a colpi di Kalashnikov a novembre del 2002, fosse da inserire nell’ambito della faida tra il clan Cassotta e i Di Muro-Delli Gatti.

Lo stesso Loconsolo era stato accusato di aver avuto un ruolo nell’agguato, ma in seguito era stato prosciolto dal gup e a nulla erano servite le parole di un altro collaboratore di giustizia, Alessandro D’Amato, che l’aveva indicato come il palo del “commando” entrato in azione.

Loconsolo è stato condannato di recente a 10 anni in appello per associazione mafiosa ed estorsione ed era stato arrestato a febbraio del 2010 a Santo Domingo grazia a un’operazione condotta dagli agenti della Squadra mobile di Potenza con la collaborazione dell’Interpol.

L’omicidio Tetta viene considerata la ritorsione del clan Cassotta dopo l’assassinio di Marco Ugo, fratello maggiore del boss Massimo, in un casale nella periferia della città federiciana, nell’estate del 2007. Giancarlo Tetta sarebbe stato considerato responsabile per l’assassinio di Marco Ugo, per questo è scattata nei suoi confronti. Ma a distanza di due anni è arrivato il pentimento di Alessandro D’Amato, che ha raccontato di aver fatto parte del gruppo di fuoco di quelli del Castello e di aver ucciso il boss per suggellare il suo passaggio da un clan all’altro, per un problema di poche migliaia di euro.

Loconsolo era stato arrestato qualche giorno dopo la morte di Tetta ma due settimane più tardi il Tribunale del riesame non ha riscontrato la presenza dei gravi indizi di colpa nei suoi confronti rimandandolo in libertà. A questo punto però sarebbe stato lui a decidere di cambiare aria, forse temendo di subire ritorsioni, come poi ha D’Amato ha confermato che stava per accadere.

Nel suo itinerario americano Loconsolo avrebbe fatto una prima tappa dai familiari della moglie in Venezuela, per poi raggiungere la madre a Santo Domingo dove avrebbe alcune proprietà. Qui sarebbero arrivate anche la moglie e i due bambini, e lui si era dato da fare come manovale prima di lasciare a causa «del suo brutto carattere».

Nelle sue dichiarazioni agli inquirenti Loconsolo avrebbe fatto il nome anche di un complice che l’ha accompagnato sul luogo dell’agguato a Giancarlo Tetta e di chi gli ha fornito la pistola calibro 7,65 utilizzata per fare fuoco. Accuse per cui prosegue ancora oggi la caccia ai riscontri da parte degli investigatori dell’Antimafia coordinati dal pm Francesco Basentini.  

l.amato@luedi.it

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE