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PARLAVO, sabato sera, della Basilicata, con una albergatrice della costiera amalfitana. Davanti a uno dei più bei panorami del mondo lei mi dice: “Ah, come  invidio la Basilicata, qui non si riesce a fare più niente. Mi parlano bene di Pittella”. Quale?, chiedo io. Non coglie, non sa.

Qualche ora più tardi  un mio amico operaio – un muratore, padre di due figli, di cui uno disabile, che si arrangiava a fare lavoretti, è morto d’infarto qualche metro più avanti.

Si portava dentro la rabbia per essere stato licenziato. E sapete perché? Perché il suo datore di lavoro, della provincia di Napoli, gli aveva chiesto di votare per il figlio alle scorse comunali. Cosa che il poveretto non si era sentito di assecondare.

Spostiamoci più giù, in Calabria. Ho letto con attenzione il documento di orientamento strategico della nuova programmazione comunitaria che l’assessore Giacomo Mancini sta portando in giro in discussione nella sua regione. Però, ho pensato. Non era questa la regione dove la ’ndrangheta mangiava i fondi europei? Intanto sanno progettare, hanno una visione. E da noi? Ai tavoli di partenariato mandano spesso incompetenti agli incontri, reclutati all’ultimo minuto in rappresentanza istituzionale. E così ancora si confonde tra il livello strategico, quello di programmazione e quello operativo.

Parlo delle tre regioni del sud che conosco bene per arrivare a questa sintesi. Non ho ancora trovato una persona, fuori dalla Basilicata, che mi abbia parlato male della regione. Quando mi chiedono: che si dice dalle tue parti? Mi lascio prendere dal loro entusiasmo. Potrei mica parlare del congresso Pd? Perché dunque noi ne parliamo così diffusamente? Comincio a pensare che sia vero quello che un collega del Fatto scriveva qualche mese fa. La stessa pervasività, la stessa emergenza che la criminalità rappresenta nel resto del Mezzogiorno in Basilicata ha la forma e i volti dei teatranti della politica. In Basilicata si può essere licenziati per non aver votato? Può darsi. Certo non con la brutalità camorristica dell’esempio che ho raccontato. Ma se non si arriva a quel contesto drammatico è, in realtà, per un motivo meno nobile di quello che potrebbe apparire: perché il mercato della politica è talmente fluttuante che nulla e nessuno sembra essere mai perduto. A questo stiamo assistendo, alla vigilia di una elezione, quella del segretario di un partito, il Pd, che non è più egemone e che ha affidato la guida del capoluogo al centrodestra che sta rompendo, anche culturalmente, il muro del pensiero unico democomunista. Chi sta con chi, nel gioco del potere locale? Ancora non l’ho capito. Posizioni equivoche, alleanze per posizionamenti personali, molti silenzi di tornaconto e sfogatoio di lettere anonime. La Basilicata ha un’ottima reputazione perché la criminalità bianca non fa notizia.

Se dunque la politica è messa così male, su cosa bisogna puntare? Su individui al centro di progetti. Prendiamo Matera. La cronaca della politica cittadina è miserrima, l’adesione al progetto 2019 è talmente coinvolgente da averne io condiviso il logo sulla testata da mesi. Ricordo i primi tempi, le denigrazioni, le discussioni sulle buche in città. Oggi tutti sul carro, è il caso di dire. Ed è un bene. Merito della politica? Se penso ad Adduce sindaco seduto in consiglio comunale lo vedo come un San Sebastiano. Se lo vedo al centro della community per Matera ne colgo le vitali connessioni. Dunque singoli, soggetti, competenze autonome, senza vincoli e veti, possono mettere in procedimento un progetto. Servono risorse. La Regione su Matera è stata generosa. E bene ha fatto. Con chi ha condiviso la scelta Pittella? Forse con nessuno (posso sbagliarmi). Certamente il governatore alle otto di ogni mattino ha già fatto dieci compromessi. Ma cosa sarebbe successo se avesse dovuto fare un “tavolo strategico di programmazione”? Gli ultimi anni di De Filippo alla guida della Regione sono stati la prova di come la politica dei veti possa bloccare qualunque sforzo di costruzione. Della cultura politica di Luongo in campo per diventare segretario regionale del Pd, c’ è un punto che non ha più giustificazione storica. La cultura della responsabilità è sì condivisione, ma non di assessorati. La condivisione oggi non la dà più la politica. La crea il singolo attorno a un progetto. Il sì della politica arriva dopo, non prima. Su un percorso che ha già preso forma, su un’idea in movimento. Persino sulla posta più alta in gioco, il petrolio, ho dubbi sui soggetti che debbano condividere le scelte strategiche. Davvero possono essere i parlamentari? O solo loro? Tra l’altro neppure partecipano alla discussione.

La Basilicata ha dunque, nonostante tutto, un grande vantaggio rispetto al resto del Sud. Superiore persino a quello della Campania baciata dalla bellezza. Ha il vantaggio dei suoi silenzi e delle sue apparenze. Una regione come la Calabria dovrà impiegare decenni per recuperare un giudizio positivo. Benchè, per restare a quello che ho studiato, comparando i livelli di programmazione comunitaria, siano molto più avanti della Basilicata. La quale, anzi, retrocedendo rispetto ai passi fatti sul Pil, ha dimostrato di aver fallito l’obiettivo.  Oggi a Potenza si parlerà del progetto garanzia giovani. Ma qualcuno potrà fare, prima, il riassunto delle puntate precedenti e rendicontarci sul progetto di un ponte per l’occupazione?

l.serino@luedi.it

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