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POTENZA – Ventitre anni fa era toccato allo zio Ofelio Antonio, ritrovato semicarbonizzato il 16 luglio del 1991 nella discarica di Rapolla. Poi è stato il turno del padre Marco Ugo, trucidato da un ex compare e vilipeso da morto con una pira di pneumatici il 14 luglio del 2007. Ma sei anni dopo, proprio nel giorno del loro anniversario, ha temuto di fare la stessa fine anche lui, Antonio Cassotta. Quando il primogenito di uno degli uomini a processo per l’omicidio del padre, è entrato nella sua auto con aria di sfida, e lo ha invitato a seguirlo al bar.

L’INCHIESTA

C’è anche la voce di Antonio Caprarella tra quelle registrate dalla microspia piazzata nella Fiat 500 di Antonio Cassotta, in carcere dagli inizi di ottobre per spaccio di cocaina.
Ma dalle carte depositate dal pm Francesco Basentini emergono altri particolari sui movimenti delle nuove leve della “famiglia del castello”, i rapporti con gli storici rivali del gruppo Di Muro-Delli Gatti e i propositi di vendetta per gli ultimi omicidi.
L’episodio che ha fatto scattare l’allarme tra gli agenti della mobile del capoluogo risale al 14 luglio del 2013, proprio nel sesto anniversario della scomparsa di Marco Ugo.
Per il suo omicidio solo qualche mese prima erano arrivate le condanne per il killer reo confesso, il pentito Alessandro D’Amato, suo cugino Nicola Lovisco e il boss Angelo Di Muro, indicato come il capo dell’omonimo clan e il mandante del delitto. Mentre era andata meglio al padre di Antonio Caprarella, Emilio Gerardo, che è stato assolto e scarcerato, ma oggi deve ancora difendersi in Appello dal ricorso della Procura.

L’IMPRENDITORE E IL COMUNE

Il giovane Antonio Caprarella è un imprenditore edile ed ex consigliere comunale di maggioranza dei tempi dell’amministrazione Navazio, e il mese scorso ha ricevuto un avviso di proroga delle indagini assieme al primo cittadino in carica di Melfi, Livio Valvano, per un’ipotesi di abuso d’ufficio. L’inchiesta riguarda le presunte infiltrazioni dei clan negli appalti del Comune federiciano. Per questo di recente gli agenti dell’anticrimine della polizia hanno acquisito gli atti di una serie di gare bandite negli ultimi anni, prima dell’insediamento di Valvano, che ha replicato affermando proprio questo.
Ma era stato già denunciato per associazione mafiosa sulla base delle dichiarazioni di Alessandro D’Amato, il collaboratore di giustizia che ad agosto del 2010 si è accusato anche dell’omicidio di Marco Ugo Cassotta.
D’Amato ha rivelato che Antonio Caprarella e il padre sarebbero stati i referenti del clan Di Muro-Delli Galli per le armi e la droga. Accuse rimaste senza seguito – a parte le querele presentate dall’ex consigliere comunale nei confronti del pentito – inclusa quella di aver partecipato alla pianificazione di un attentato contro un membro del clan rivale. Il cacciatore sarebbe stato proprio D’Amato, assieme al fidato Michele Morelli: stessa formazione degli omicidi di “Rocchino” Delli Gatti e Domenico Petrilli, tra il 2002 e il 2003, quando ancora uccidevano per i Cassotta. L’esca, invece, l’insospettabile Caprarella, che avrebbe aveva avvicinato Saverio Loconsolo cercando di carpire un po’ di confidenza e convincerlo a uscire assieme una sera. Poi avrebbe avuto il compito di accompagnare la preda fuori dal locale per fumare una sigaretta. A quel punto il cacciatore avrebbe avuto gioco facile a far fuoco passando lì davanti in auto.

L’INTERCETTAZIONE

«Sai perché vengo insieme a voi? Eh… Perché a me non me ne frega un cazzo di nessuno!».
Queste sono le parole di Caprarella registrate dalle microspie nell’auto di Antonio Cassotta, che era in compagnia del cugino Giuseppe Caggiano. «Vi voglio bene. A te. A questo specialmente perché so che è serio!»
Poi l’invito al bar: «Senti, portami al Polo Nord (un noto bar dellla cittadina, ndr) facciamo andare in cassetta a tutta Melfi (…) Non te la senti? (…) Oh! Guardami in faccia! Che io non penso a nessuno (…) Antonio Caprarella non pensa a nessuno».
Ma Cassotta non si è fidato e quando è uscito dall’auto ha rivelato i suoi sospetti al cugino: «Ha fatto un’altra esca (…) ma questo qua mi stava facendo innervosire. Hai visto mo’: “Non vi pe… non penso a nessuno”. O no? (…) Perché quello era… quello era buo’… ce lo scazzavo… madonna».
E Caggiano di rimando: «Là ha detto tutte bugie! (…) Ci dobbiamo scannare di più che me ne frega (…) Era ubriaco di brutto (…) la macchina! Quello lo dovevamo (gli investigatori annotano: “si registra un rumore secco fatto probabilmente per intendere qualcosa”) perché ci hanno visto i cristiani (…) lo dovevamo portare a una parte (…) mo’ (…) tutte le cose! Che eravamo dentro la stazione e gli dovevi dire: “aspetta (…) andiamo da un’altra parte” (…) mo’ era buono… mo’ che si era messo in macchina (…) quello da te non si mette mai più nella macchina! Quello era ubriaco».

GLI INVESTIGATORI

«Imbarazzati durante la permanenza in macchina di Antonio Caprarella – annotano gli agenti della mobile di Potenza -, che li aveva sfidati a portarsi al centralissimo bar “Polo Nord” di Melfi, per farsi notare da tutti, i cugini Antonio Cassotta e Giuseppe Caggiano argomentavano con l’uscita dell’auto dello stesso dapprima che il gesto poteva essere un’ennesima “esca” condotta verso di loro e, poi, che avrebbero potuto approfittare della circostanza per “portarlo via” (…) cosa che tuttavia argomentavano di non poter fare poiché notati da persone di Melfi».

l.amato@luedi.it

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