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ALLAfine gli chiedo: “Ma il sindacato? Non siete in crisi di rappresentanza  anche voi? Come affrontate voi le complessità di questi tempi che mettono tutto  in discussione?” La risposta che mi dà Carmine Vaccaro mi piace molto:

“Dobbiamo leggere un  libro in più rispetto al padrone”. Il segretario regionale della Uil mi spiega  che continuare a rivendicare con i vecchi strumenti non ha più senso. E porta  il dito indice alla testa. A dire: uno sforzo di pensiero, innanzitutto. In  quel libro in più che tutti noi lavoratori dovremmo leggere sta, forse, uno  spiraglio di coprogettualità, di condivisione, di offerta di idee e soluzioni. 

La piramide sociale non è più la stessa, ma non è neppure invertita.  Semplicemente non è più una piramide.

Abbiamo bisogno di una costruzione che  prenda mattoni da tutte le parti.

Il segreto è non farci trovare impreparati  rispetto ai nuovi appuntamenti.

La politica? “Serve rottura”. Gli altri  sindacati? “Nei momenti topici e sulle grandi sfide abbiamo sempre trovato  unità”.

Ho lasciato Carmine Vaccaro all’appello civico di quasi due mesi fa (con un  appello a Pasquale Carrano) all’apertura di questa grande voragine socio- politico lucana che non sappiamo ancora dove ci porterà.

Un impegno diretto in  politica? “Io sono nella Uil”, dice, “penso di essere una risorsa in questo senso. Se c’è un disegno di buona Basilicata io sono da quella parte, nei modi  che valuteremo. Io voglio servire questa regione da uomo libero, con una  sensibilità sociale, con la scuola del sindacato che ti fa capire quando  proprio le cose non vanno.

Oggi, come si diceva una volta, ci sono le  condizioni oggettivamente rivoluzionarie, non si può delegare ad altri quando i  cambiamenti da fare in Basilicata sono di tale portata che non puoi metterti a  guardare ed aspettare anche da posizioni di retrovia.

Lo dico con sofferenza e  sdegno da uomo che si è ispirato ad ideali di sinistra e che ora crede solo nel  cambiamento, nella modifica delle cose che non vanno.

Non accetto più un  sistema di potere che ha condotto la regione a questo stato anche deviando e  mortificando sentimenti di giustizia sociale e libertà”. E passiamo a ragionare  sulla “malattia del coraggio” che, come dice con bella espressione Vaccaro,  dovrebbe propagarsi in tutta la regione.

Dopo una lunga chiacchierata l’aspetto che più mi colpisce (e che, nel mio  piccolo, sto cercando di diffondere) è che bisogna trovare la ricetta giusta  perchè la piccola Basilicata si allarghi oltre i limes.

Il pensiero va subito  all’industria per antonomasia, l’auto, e alla Fiat. “Sono preoccupato – mi dice  – la capacità produttiva di Melfi è di 1600 vetture al giorno per un impegno di  5400 lavoratori. Se si ristruttura una sola linea e se non si arriva alla  sostituzione della grande punto significa che la capacità di assorbimento della  forza lavoro si riduce esattamente della metà.

Guardiamo alle regioni  confinanti, Pomigliano, la Puglia per i motorini d’avviamento, Cassino, la  Sevel in Abruzzo: è possibile immaginare un progetto meridionale dell’auto?

Per  esempio con l’idea di un’autovettura del futuro a basso impatto ambientale? Ed  è solo un esempio. Per dire che la storia ci dimostra che se non ci apriamo  all’esterno siamo perdenti.

Se ragioniamo sulle nostre cose, solo sulle nostre  cose, dentro i nostri confini siamo perdenti. Nei confronti del governo, nei  confronti delle multinazionali. Questa è la debolezza e la fragilità del  pensiero piccolo della Basilicata. La Basilicata ha un ruolo di regione aperta- incrocio nel Mezzogiorno”. Gli chiedo: con quale classe dirigente allarghiamo questo pensiero? Mi  risponde: “Il cambiamento non può essere fatto dalla stesse persone che ci  hanno condotto qui. Lo sa che l’aumento delle povertà in Basilicata galoppa?  Più delle altre regioni? Non è paradossale? Dico no all’impoverimento della  regione che pure ha risorse e potenzialità enormi. Le risorse energetiche,  ambientali, territoriali che gli uomini del potere locale hanno trasformato in  pesi, rendite per pochi in svantaggi ulteriori.

E sono responsabili di aver  portato la regione alle ultime posizioni per qualsiasi indicatore economico e  sociale”.

Vaccaro mi legge un passo di un’intervista di D’Alema: “Io penso a  vere primarie di coalizione. E se questa alleanza sarà ampia, se coinvolgerà  personalità della società civile, le primarie non potranno essere  predeterminate dalla leadership del Pd”. “Le dimissioni di De Filippo rappresentano una svolta alla quale bisogna dare  seguito”, commenta Vaccaro. “Quelle dimissioni io le reputo forse affrettate,  ma eticamente ineccepibili”. Serve interpretare la disaffezione dei tanti per i  privilegi e le rendite costruite con le funzioni politiche che hanno prodotto  malcostume, immoralità e inefficienza e lasciato la convinzione che la politica  è solo fare carriera. Bisogna ritornare a diffondere l’idea che la moralità  della politica è nell’occuparsi del bene comune”. Quanto all’idea della Basilicata, Vaccaro ritorna alla Fiat, a quando si  insediò a Melfi: “Ricorda quali erano le condizioni che spinsero la Fiat a  venire in Basilicata? Il territorio verde, l’assenza di criminalità, la  convenienza con la flessibilità del salario in ingresso, che non vuole dire  gabbie salariali. Oggi ci sono ancora queste condizioni? C’è ancora convenienza  ad investire in Basilicata?

Quali sono le convenienze che dobbiamo creare per  far sì che la Basilicata diventi attrattore di grandi investimenti. Le nostre  tradizioni, la nostra identità va preservata, tutelata, sicuramente, ma da soli  non possiamo farcela. L’occupazione si crea con progetti che dobbiamo attrarre.  E non solo”. A questo punto, con l’esperienza del sindacato, Vaccaro mi prospetta una serie  di proposte (dalla banca delle ore lavoro, dal patto generazionale, dagli  investimenti professionali nella forestazione) che si ispirano a una sola  filosofia: no al salario minimo garantito, no all’assistenza improduttiva, sì a  uno sviluppo ragionato e fattibile per tutta la regione nel nome di una  “solidarietà” sociale che deve essere preponderante rispetto all’ “emergenza”  sociale oggi costituita da sempre maggiori inoccupati o di occupati a nero. Una  sola cosa mi lascia perplessa, quando invoca il giudice o la chiesa  a garanzia  di trasparenza.

Con orgoglio rivendica l’esperienza di Obiettivo Basilicata  2012, l’esperienza di una concertazione, oggi diciamo di un’intesa che “ha  anticipato l’atteggiamento del governo”. Stesso orgoglio nella missione  “divulgatrice” del piano lavoro. Oggi dobbiamo dialogare con i cittadini che  sono nelle organizzazioni, che non hanno appartenenze, per dare linfa a un  movimento che abbia un’idea forte: le cose di cui ha bisogno la regione si  possono fare solo se si opera una rottura, se si fa un pronunciamento di massa  di tutti quelli che non ci stanno, si decide di non seguire i rinnovamenti di  facciata per un pensiero che stia dentro e fuori il centrosinistra.

Un  centrosinistra che ha senso oggi solo se si consegna a uomini nuovi  in una  legislazione straordinaria di rifondazione della regione”. Un ultimo scambio di idee. La scelta degli uomini attraverso le primarie? “No,  no, Io spero di no. Sono una frattura, una lacerazione. Meglio di no”. Lo penso  (per quello che vale) anch’io.

l.serino@luedi.it

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