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Il Palazzo di giustizia di Potenza

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POTENZA – Potrebbe essere stata un’arma del clan Martorano la misteriosa pistola senza numero di matricola al centro del giallo esploso 10 anni or sono nel Palazzo di giustizia di Potenza. A distanza di qualche mese dalla sua scoperta all’interno degli uffici dell’aliquota dei carabinieri.

A rivelare i sospetti del boss Dorino Stefanutti è stato il figlio Natale, sentito dai pm della Direzione distrettuale antimafia lucana nell’ambito dell’inchiesta, che lunedì scorso hanno portato all’esecuzione di 39 misure cautelari nei confronti di altrettanti presunti affiliati e “amici” del clan. Inclusi il padre, la sorella, il cognato, la madre e la zia.

«Mio padre pensava che la pistola rinvenuta negli uffici dei carabinieri del Tribunale di Potenza appartenesse a Carlo Troia». Queste le parole di Stefanutti junior verbalizzate a novembre del 2015, che riappaiono negli atti dell’inchiesta “Lucania felix”.

Agli investigatori della sezione anticrimine della Squadra mobile il giovane collaboratore di giustizia ha spiegato di aver sentito parlare di quella pistola, in una data non meglio precisata, dal padre. Durante un incontro tra quest’ultimo e il fidato Donato Lorusso, considerato il «reggente» del gruppo durante i periodi di detenzione dello stesso Stefanutti e dell’altro capo, Renato Martorano.

Natale Stefanutti

«Dissero che quella pistola – ha aggiunto Natale Stefanutti – corrispondeva all’arma utilizzata da Troia per fare l’estorsione a un distributore di benzina». Ma il figlio del boss avrebbe chiesto lumi al riguardo anche a uno storico “amico” di Troia, Rocco Santarsiero, alias “Pupetto”, che a marzo del 2010, ignorando la presenza di microspie nella sua auto, aveva commentato con durezza l’atteggiamento assunto dal titolare di un distributore di benzina di fronte alla richiesta di un “pensiero” per i detenuti. Commenti che a distanza di un anno avrebbero aiutato gli inquirenti a individuare nella persona di Troia (destinatario a sua volta di una delle misure cautelari eseguite lunedì scorso, ndr) il motociclista che qualche giorno dopo la richiesta respinta aveva fatto fuoco sulla vetrina dei locali di servizio al distributore.

Agli inquirenti, tuttavia, Stefanutti ha spiegato di aver ricevuto soltanto risposte «evasive» da Santarsiero (non indagato nell’indagine Lucania felix, ndr). Senza riuscire a ottenere elementi in più per capire quanto vi fosse di vero nei pensieri del padre. Il caso della Beretta calibro 22 corto scoperta negli uffici dei carabinieri in servizio al pian terreno del Palazzo di giustizia di Potenza era venuto alla luce a luglio del 2011, pochi mesi dopo l’arresto di Troia, quando è stato recapitato alle redazioni delle principali testate giornalistiche locali un esposto anonimo, che lasciava intravedere l’ipotesi malevola di un’arma a disposizione dei militari per incastrare il malcapitato di turno.

Il rinvenimento dell’arma, però, sarebbe stato risalente a novembre del 2010, qualche mese dopo gli spari al distributore. Nel 2013, inoltre, la vicenda avrebbe attirato la curiosità di mezza Italia, quando si è sparsa la notizia clamorosa – poi smentita – che l’arma potesse essere proprio l’introvabile Beretta calibro 22 lungo, utilizzata dal mostro di Firenze per gli 8 duplici omicidi compiuti dal 1968 al 1985. Sempre nel 2013, per un’ipotesi di omessa denuncia legata al rinvenimento della pistola, era finito a processo il colonnello che all’epoca guidava la sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri. Dopo la scoperta, infatti, il comandante aveva avviato una serie di verifiche “interne” prima di comunicare l’accaduto alla Procura della Repubblica. Anche per capire se potesse trattarsi del reperto di qualche indagine passata per quegli uffici. Di qui la condanna, in primo grado, a 4 mesi di reclusione, poi annullata dalla Corte d’appello.

Le indagini scientifiche effettuate sulla pistola erano comunque riuscite a far riaffiorare alcuni dei numeri di matricola della pistola, limati via per renderla impossibile da identificare.

Così si era scoperto che due Beretta identiche, calibro 22 short, e con un numero di matricola molto simile (per quanto leggibile) erano state vendute a Roma e a Capaccio rispettivamente nel 1961 e nel 1965. Solo che di entrambe si sono perse le tracce da tempo. Quale delle due fosse quella ritrovata negli uffici dei carabinieri, pertanto, è rimasto un mistero. Come pure chi ve l’avesse portata e perché.

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