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Non c’è pace per l’organismo eletto da pochi giorni, dopo settimane di rinvii e polemiche

POTENZA – Paolo Galante è stato condannato a 3 anni e 6 mesi. Ad appena tre settimane dalla (già di per sé tribolata) nomina, riecco gli scossoni sul nuovo Ufficio di presidenza: per il vicepresidente del Consiglio regionale (Realtà Italia), lo scorso aprile il pm Vincenzo Lanni aveva chiesto 4 anni di reclusione nel processo ai vecchi vertici del Consorzio industriale di Potenza (il consigliere regionale sedeva nel cda). Oggi è arrivata la sentenza.

LEGGI L’ARTICOLO SULLA “PRESIDENZA DEGLI IMPUTATI”

Quella di Galante è una posizione delicata perché la sua condanna fa scattare la legge Severino: la norma prevede la sospensione dall’incarico per un periodo di almeno diciotto mesi per i condannati, anche solo in primo grado, per reati come corruzione, concussione, abuso d’ufficio e peculato. Sul lato procedurale la casella che viene a liberarsi dovrebbe essere occupata dal primo dei non eletti, mentre sul piano politico si tratta di un’altra patata bollente nelle mani del governatore pochi giorni dopo le nomine ai vertici della massima assemblea elettiva lucana. 

IL PROCESSO Il Tribunale di Potenza ha condannato, per concorso in peculato, a pene comprese tra i tre anni e tre mesi e quattro anni di reclusione in tutto 10 persone nell’ambito di un processo sull’utilizzo di risorse economiche del Consorzio per lo sviluppo industriale di Potenza, tra il 2007 e il 2008, da parte di alcuni componenti del consiglio di amministrazione. Per l’ex presidente del cda dell’Asi, Mario Vasta, la condanna è di quattro anni di reclusione. A tre anni e sei mesi sono stati invece condannati (insieme con Galante) Donato Scavone, Angelo Ruggiero, Rocco Sarli (ex componenti del cda), Rocco Tramutola (ex presidente del collegio dei revisori dei conti), Pompeo Pietro Pisani, Gerardo Graziano e Mario Cerverizzo (ex dirigente Asi). Per Alfredo Rocco (dirigente Asi) è stata invece disposta una pena a tre anni e tre mesi di reclusione. Il giudice ha disposto per tutti gli imputati l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e, in solido, il risarcimento dei danni. L’inchiesta riguardava l’affidamento di incarichi tecnici, le procedure per l’aggiudicazione di alcuni lotti e l’uso improprio di risorse pubbliche per la gestione del Consorzio. 

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