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POTENZA – «Mi domando in che cosa ho sbagliato. Non mi sono mai sognato di forzare delle decisioni e ho resistito anche a pressioni, motivate da ovvie finalità di carattere sociale, da parte del Pd. Né sono stati mai fatti bandi su misura».
Si è difeso così ieri mattina davanti al gip Rosa Verrastro, l’ex sindaco di Venosa Tommaso Gammone, agli arresti domiciliari da giovedì mattina nell’ambito dell’inchiesta sulle corruttele dell’ex genio civile di Melfi e le gare pilotate nella città di Orazio.

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Gammone, che è accusato di turbativa d’asta in concorso nell’ambito di quest’ultimo filone d’indagine, è stato l’unico a non avvalersi della facoltà di non rispondere dei 7 destinatari dell’ordinanza di misure cautelari che ieri sono comparsi in Tribunale, a Potenza, per l’interrogatorio.
Assistito dagli avvocati Donato Bellasalma e Vincenzo Siniscalchi, napoletano ma di origini venosine, l’ex primo cittadino ha parlato per circa due ore e mezza.
«Ha risposto a tutte le domande», ha confermato al Quotidiano Siniscalchi. «Sia a quelle del gip, che conosceva molto bene gli atti, sia a quelle del pm che dal canto suo ha cercato di dare credito alle intercettazioni dei terzi. Perché negli atti che abbiamo potuto consultare non c’è neanche un sospiro del sindaco».
Gammone avrebbe liquidato i contatti avuti coi vari portatori d’interesse che s’affacciavano in Comune come «normali interlocuzioni» di un sindaco con i suoi concittadini. Quindi avrebbe ricondotto a questo tipo di «normali interlocuzioni» anche le presunte lottizzazioni politiche tratteggiate in alcune conversazioni dei suoi co-indagati, che sono state intercettate dai carabinieri. Pratiche che a suo dire non si sarebbero mai tradotte in bandi cuciti su misura né in corruttele di alcun tipo. Come pure i rapporti «distaccati» con Valerio Antenori, l’imprenditore che secondo l’accusa sarebbe stato avvantaggiato nell’assegnazione di un’area all’interno del bosco San Felice per la realizzazione del suo progetto di una mostra di animali esotici impagliati. Non senza un passaggio in cui ha sottolineato la candidatura a sindaco alle scorse amministrative dello stesso Antenori, che per i suoi affari si era già rivolto a un ex deputato di centrodestra come Nicola Pagliuca, a capo di una lista contrapposta al Pd, forza di riferimento della sua maggioranza in Comune.
Quanto alla presunta persistente «influenza» sull’amministrazione comunale, e più in generale sulla scena politica nella città d’Orazio, Gammone ha parlato di «pura immaginazione», evidenziando la mancata ricandidatura alle amministrative, che a maggio hanno visto la 5 stelle Marianna Iovanni raccogliere la fascia tricolore, e l’assenza di qualunque incarico dirigenziale all’interno del Pd. Infine ha spiegato di essere tornato con convinzione alla sua professione di dentista, dopo un netto calo d’introiti legato all’impegno e alle energie distratte, con tanta «passione», nei 5 anni alla guida del Comune.
Al termine dell’interrogatorio i difensori dell’ex primo cittadino non hanno presentato istanza di revoca degli arresti domiciliari.
«Per quella attendiamo di leggere tutte le carte dell’inchiesta che si sono state appena messe a disposizione». Così l’avvocato Siniscalchi, anticipando un possibile ricorso al Tribunale del Riesame.
E’ stata avanzata, tuttavia, la richiesta di un permesso speciale per permettergli di andare al lavoro nel suo studio dentistico, poco lontano dall’abitazione dove risiede.
Oltre a Gammone ieri mattina sono comparsi davanti al gip Verrastro: l’ex assessora all’urbanistica Rosa Cetrone, il dirigente dell’ufficio tecnico comunale Antonio Cacosso, e il funzionario dello stesso ufficio Emanuele Lichinchi (per il filone sui bandi truccati a Venosa); più l’ingegnere dell’ufficio regionale Difesa del suolo di Melfi, Nicola Calabrese, suo figlio Andrea, e il progettista venosino Mario De Feudis.
Gli interrogatori di garanzia riprenderanno mercoledì e giovedì prossimi con gli altri 10 indagati sottoposti a divieto di dimora a Venosa e obbligo di firma in caserma.

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