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Il centro oli di Viggiano

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POTENZA – Sui reflui delle estrazioni di petrolio e gas in Basilicata Eni avrebbe portato avanti per anni un traffico illecito di rifiuti, capace produrre oltre 44 milioni di euro di risparmi rispetto al costo del loro smaltimento secondo legge. Il tutto sotto il naso della Regione Basilicata, dove un dirigente, a un certo punto, si sarebbe preso persino la briga di “strappare” una diffida inviata dai suoi sottoposti alla compagnia. Dopo l’allarme per una fiammata anomala dalla torcia di sicurezza del centro olio di Viggiano.

E’ questo il principio affermato ieri pomeriggio dal Tribunale di Potenza, condannando 6 ex dirigenti locali della compagnia petrolifera.
Il collegio presieduto da Rosario Baglioni ha chiuso così il processo, in primo grado, sulla gestione dei reflui incriminati, per cui nel 2016 venne disposto anche il sequestro di alcuni impianti all’interno del centro olio. Provocando lo stop per 4 mesi delle estrazioni.
Accolte, quindi, le richieste avanzate a luglio dell’anno scorso dal pm Laura Triassi. Sebbene solo in parte dato che il magistrato si era spinto a chiedere 114 anni di reclusione divisi tra i 35 imputati.

I giudici hanno fissato in 2 anni di reclusione (con l’esecuzione sospesa) la pena per Ruggero Gheller, Nicola Allegro e Luca Bagatti, e in 1 anno e 4 mesi per Enrico Trovato, Roberta Angelini e Vincenzo Lisandrelli. Inoltre hanno disposto una sanzione amministrativa da 700mila euro ad Eni spa, e la confisca dai suoi conti di 44,2 milioni di euro, quale provento del reato contestato ai dipendenti.
Condannato a 18 mesi di reclusione, poi, l’ex capo dell’ufficio compatibilità ambientale della Regione Basilicata, Salvatore Lambiase, per un’ipotesi di abuso d’ufficio legata alla revoca di una diffida alla compagnia petrolifera di Bandiera.

Assolti, infine, i restanti 28 imputati, inclusi gli ex direttori generali dell’Agenzia regionale per l’ambiente della Basilicata, Raffaele Vita ed Aldo Schiassi, e l’ex dirigente dell’ufficio Territorio della Provincia di Potenza, Domenico Santoro, ai quali veniva contestata l’omissione di una serie di controlli. Idem per i gestori di vari impianti di depurazione sparsi in mezza Italia, come Tecnoparco Valbasento di Pisticci.

E’ proprio in questi impianti, infatti, che per anni sono stati smaltiti, per un terzo, i reflui di produzione del Centro olio di Viggiano, che è infrastruttura fondamentale per le estrazioni di Eni in Basilicata. Mentre i restanti due terzi venivano reiniettati nelle viscere della terra attraverso un pozzo di petrolio esausto nel Comune di Montemurro, ribattezzato Costa Molina 2. Secondo l’accusa, però, i reflui in questione sarebbero stati classificati erroneamente da Eni come non pericolosi. Con un risparmio di spesa pari ai 44 milioni di euro confiscati rispetto al trattamento quale rifiuto pericoloso.

Il collegio ha bocciato, infine, l’accusa di falso in atto pubblico legata ad alcune presunte irregolarità nelle autodenunce effettuate dalla compagnia agli enti di controllo sui livelli delle emissioni di gas dell’impianto lucano. Quindi ha dichiarato prescritte le residue contestazioni perlopiù per fatti di contorno.
I giudici hanno condannato Eni e i suoi dirigenti anche al risarcimento, da liquidarsi in separata sede, delle circa 200 parti civili costituite nel processo, tra le quali numerosi cittadini residenti nell’area degli impianti petroliferi, Ministero dell’Ambiente, Regione Basilicata, i comuni interessati dalle estrazioni (incluso Pisticci), e diverse associazioni ambientaliste. Oltre al pagamento delle spese processuali e oltre 50mila euro di spese legali delle stesse parti civili.

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