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Antonio Nicastro e Palmiro Parisi

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POTENZA – Dietro le morti per covid del giornalista Antonio Nicastro e dell’imprenditore Palmiro Parisi, ci sarebbe stata una lunga serie di omissioni, sommata all’imperizia, nel caso di Nicastro, di una dottoressa del pronto soccorso del San Carlo. Mentre i pochi tamponi diagnostici a disposizione, in quei primi giorni di pandemia, venivano sperperati a favore di una serie di privilegiati. Incluso il coordinatore della task force anti virus della Regione, Michele Labianca, e l’attuale direttrice sanitaria dell’azienda ospedaliera San Carlo, Angela Bellettieri.

È quanto emerge dalle contestazioni formulate dai pm di Potenza al termine dell’inchiesta avviata dopo le morti di Nicastro e Parisi, tra marzo e aprile del 2020. Nei giorni scorsi il procuratore aggiunto Maurizio Cardea, e il procuratore capo Francesco Curcio hanno firmato l’avviso di conclusione delle indagini a carico di 10 persone, indagate a vario titolo per reati che vanno dall’omissione di atti d’ufficio, al falso, e all’omicidio per colpa medica.

I due magistrati hanno hanno sconfessato, di fatto, l’esito della consulenza da loro stessi affidata a un primo collegio di esperti, ad aprile 2020, che aveva escluso responsabilità mediche per la morte di Nicastro.

Rischia un processo per omicidio colposo, quindi, la dottoressa del Pronto soccorso del San Carlo, Silvana Di Bello, che il 13 marzo del 2020 decise di rispedire Nicastro a casa nonostante i sintomi da covid 19, senza suggerire il ricovero al reparto Malattie infettive né effettuare le analisi che avrebbero potuto far emergere la gravità del suo quadro clinico.

Per il direttore sanitario dell’Asp, Luigi D’Angola, e il direttore del reparto di igiene e sanità pubblica dell’Aso, Michele De Lisa, le contestazioni riguardano un’ipotesi di omissione di atti d’ufficio per i ritardi nella somministrazione del tampone diagnostico al giornalista, benché segnalato dal suo medico curante, in quanto sintomatico, fin dal 13 marzo 2020. Con l’aggravante che «dal giorno 17 marzo 2020 e nei giorni seguenti effettuavano e disponevano il prelievo del tampone su soggetti asintomatici e talvolta anche privi di link epidemiologici».

D’Angola è accusato anche di falso per alcune delle dichiarazioni rese durante l’inchiesta interna avviata dalla Regione sulla morte di Nicastro. Mentre un’altra omissione di atti d’ufficio è contestata al medico del reparto di Igiene e sanità pubblica dell’Asp, Nicola Manno, che avrebbe dovuto chiamare quotidianamente Nicastro per accertarsi delle sue condizioni. E non l’avrebbe fatto.

Poi ancora alla stessa Di Bello, per gli esami non effettuati durante la visita al pronto soccorso. Quindi alle infermiere addette del centralino del 118, Carmelina Mazza e Maria Tamburrino, che avrebbero trascurato la richiesta di aiuto da parte del giornalista e della moglie. Arrivando a confondere quest’ultima sulle procedure «per richiedere una valutazione clinica del marito», dicendole «di non recarsi ad intasare il pronto soccorso» e di provare a chiamare la guardia medica.

Stessa trascuratezza, e stessa contestazione di omissione d’atti d’ufficio, rivolta anche a un’altra infermiera addetta al centralino del 118, Maria Neve Gallo, che il 17 e il 20 marzo rispose alle richieste di aiuto di Palmiro Parisi, senza disporne l’immediato ricovero nel reparto di Malattie infettive.

TAMPONI SOTTO MENTITE SPOGLIE

Un ultimo capo d’imputazione, invece, riguarda Labianca e Bellettieri per un’ipotesi di falso che nulla ha a che vedere con le morti di Nicastro e Parisi. Ai due dirigenti medici, infatti, viene contestato di aver falsificato i propri nomi sui moduli di richiesta delle analisi sui tamponi anti covid a cui si erano sottoposti, «modificandoli in “Rosso Pia” e “Bianco Michele”».

Il tutto, secondo i pm: «al fine di occultare l’effettuazione dei test con la consapevolezza di poterne comunque conoscere l’esito, essendo la trasmissione dei risultati di laboratorio una delle mansioni della stessa Bellettieri, e nonsuranti che gli analisti inconsapevolmente indotti in errore avrebbero certificato il falso». I 10 indagati hanno 20 giorni di tempo dalla notifica dell’avviso di chiusura delle indagini per chiedere di essere sentiti o depositare memorie difensive. Poi spetterà ai pm deciddere se archiviare le accuse o procedere con le richieste di rinvio a giudizio.

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