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Il carro funebre in attesa dell’uscita del feretro dalla chiesa di Sant’Anna e San Gioacchino

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Commozione e rabbia ai funerali della donna trovata in una casa sepolta fra i rifiuti. La cugina di Mariannunziata Garofalo racconta le chiamate ricevute nel giorno della drammatica scoperta


POTENZA – Negli occhi rossi delle amiche, all’uscita dal funerale di Mariannunziata Garofalo – la donna morta dopo essere stata ritrovata immobile sul letto nella sua casa satura di spazzatura (GUARDA IL VIDEO) – si leggeva certo la commozione ma anche la rabbia. Forse soprattutto la rabbia.
E non solo negli occhi: il capannello di amiche e conoscenti che si è formato fuori dalla chiesa di Sant’Anna e San Gioacchino era un ribollire di intenti battaglieri, scaturiti dall’intenzione di andare fino in fondo alla storia e chiarirne ogni aspetto, lasciando che ne emergano eventuali responsabilità e colpe. Si accavallavano le voci e i ricordi personali, e tutte si dicevano disposte a ripeterle pari pari nel caso fossero chiamate a farlo dall’autorità giudiziaria.
Nel gruppo anche Fiorella Glielma, insegnante di Liceo classico, cugina di Mariannunziata, testimone del passaggio-chiave della vicenda, ossia del momento in cui le autorità sanitarie, i vigili del fuoco e la polizia sono stati chiamati a intervenire.
Ma tutto questo è avvenuto dopo le esequie, in una chiesa affollata di persone e un celebrante, don Franco Corbo, che ha parlato con la consueta umanità del dolore che in questi casi attanaglia famiglie e conoscenti.
In separata sede, don Franco ha rilasciato alcune dichiarazioni al microfono di Alessandro Boccia per Telenorba, in cui ha riportato quello che era di sua conoscenza (conosceva entrambi i coniugi e li considerava bisognosi di attenzione, ricordando però di non aver mai riscontrato necessità impellenti d’intervento) e si è chiesto quanto siano state attente al loro caso le autorità del settore socio-assistenziale.
Terminato il consueto rituale delle condoglianze ai parenti (il marito e suoi familiari), le amiche hanno dunque cominciato a ricordare aneddoti e particolari che a loro dire indicherebbero particolari responsabilità.
La cugina ha ascoltato tutte. Al Quotidiano spiega la sua versione, che comincia quando una familiare del marito di Mariannunziata la chiama al telefono: «Era mercoledì scorso, alle 10:30 del mattino. Io ero sul treno, in viaggio. Lei mi dice: tua cugina non mangia da venti giorni e ormai è in fin di vita. Io allora la invito a chiamare al più presto il 118. Lei mi risponde che non sa se il personale medico riesce a entrare in casa».
Queste parole trovano rispondenza con quanto in effetti accaduto: i sanitari hanno provato ad accedere ma il volume di rifiuti accumulatosi in tutto l’appartamento impediva l’apertura della porta. E’ stato necessario chiamare i vigili del fuoco per entrare in casa.
«Allora – prosegue Glielma nel suo racconto – ho fatto richiamare da mia sorella, che è medico. Dopo le solite resistenze a chiamare il 118 o anche il solo medico di base, l’ha invitata a dare a lei – a mia sorella – il numero o quanto meno il nome appunto del medico di famiglia, perché lei lo potesse contattare». Ma anche su questo, riferisce la professoressa Glielma, l’interlocutrice avrebbe glissato. «A questo punto mia sorella – continua – si è messa ad urlare che chiamassero immediatamente i soccorsi».
«Alla fine – prosegue – si sono convinti a chiamare il 118. Quando mia sorella ha chiamato di nuovo per sapere cosa stesse accadendo, a casa c’erano già vigili del fuoco e agenti di polizia che avevano già inquadrato la situazione in cui si trovava la mia povera cugina».
Glielma ricorda di aver visto per l’ultima volta Mariannunziata «intorno al 20 di agosto scorso – riferisce –. C’eravano fermati a chiacchierare io, mio marito, Marinunzia e suo marito, poco prima dell’ora di cena».
Poi l’ultimo ricordo utile, che la professoressa Glielma ha fissato bene perché legata a un lutto, il 20 ottobre scorso: «Il marito di mia cugina – racconta – ha chiamato mia sorella, ma non per le condoglianze: voleva farsi dare, così disse, qualche antidolorifico per la moglie. Mia sorella gli aveva chiesto di passargliela, ma lui aveva ribadito che non poteva perché lei era stanca».
«Il giorno dopo – ricorda – suo marito è venuto al funerale di mia suocera e ha ribadito che Mariannunziata non stava bene. Conoscendo mia cugina, e la sua difficoltà con i funerali e i morti, ho pensato che fosse naturale il fatto che non fosse venuta anche lei».
Ieri mattina Glielma ha conosciuto le amiche che le hanno raccontato storie che lei non conosceva, e di cui non potrà più chiedere a sua cugina, «che è morta venerdì in ospedale».
«Di certo – afferma Glielma – ho saputo che il medico di base non è stato mai chiamato. Non conosceva proprio mia cugina». Eppure lei giaceva da giorni, forse da settimane in un letto, con una brutta frattura e non si sa quanto alimentata e curata. Nessun medico, nessun servizio di emergenza era stato messo al corrente della condizioni di salute di Mariannunziata, emerge dalle ricostruzioni finora possibili.
«Eppure – ricorda Glielma – aveva tre cugini medici. Ma nessuno ha saputo niente».
Insomma: una donna da tempo ferma in un letto, dolorante e senza assistenza (era disidratata, a quanto si è saputo, quando è stata ricoverata) in una casa sommersa dall’immondizia, e nessun dottore ne era a conoscenza.
«Sono tante le domande che mi pongo, e non solo io – conclude la cugina – Qualcuno andava a trovare Mariannunziata? E chi? Perché non è stata chiamata d’urgenza un’ambulanza? Perché si trovava in quelle condizioni? Io voglio trovare risposte. E sono disposta a raccontare tutto quello che so agli investigatori, se vorranno».

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