X
<
>

La parlamentare ed ex presidente della Camera Laura Boldrini con il suo libro &quot;Questo non è normale&quot;

Condividi:
6 minuti per la lettura

«Non è normale il disprezzo per le donne, non è normale non valorizzarle, non è normale tenerle lontano dal mercato del lavoro, non sono normali le offese e le discriminazioni quotidiane, il sessismo, la misoginia. No, tutto questo non è normale e fa male tanto alle donne quanto agli uomini. Ma fa male soprattutto all’Italia».

Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati dal 2013 al 2018, attualmente a Montecitorio come indipendente nel gruppo del Partito democratico, presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, sintetizza così la condizione delle donne nel nostro Paese, che affronta in maniera ampia nel suo libro “Questo non è normale”, edito da Chiarelettere. Una pubblicazione che presenterà domani a Potenza, alle ore 18, nella sala conferenze del Polo bibliotecario in via don Minzoni.

Un incontro promosso dalla Libera Università delle Donne e il Forum delle donne di Articolo Uno, moderato dalla giornalista Anna Martino, durante il quale la parlamentare dialogherà con Adriana Salvia e Angela Blasi.

Presidente Boldrini, come nasce l’idea di questo libro e perché?

«Il libro nasce da una continua presa d’atto delle tante anomalie ai danni delle donne, specialmente durante la fase acuta della pandemia, quando le donne erano veramente in prima linea a farsi carico di questo grande problema: negli ospedali, nelle farmacie, nei supermercati, attraverso la Dad e così via. E poi però non veniva loro riconosciuto un ruolo nella riconsiderazione del dopo, del futuro. Siamo arrivati al punto che il Governo ha istituito delle task force dimenticando le donne. Mi sono detta che tutto questo non era normale. Che non si poteva continuare così, come se le donne non esistessero. Insomma, ci sono tante cose che non vanno in questo Paese riguardo alla condizione femminile e che si ripetono, con il rischio quindi che vengano considerate normali. Il libro vuole mettere in fila tutte queste discriminazioni, evidenziare il rischio che stiamo correndo, cercando anche di dare suggerimenti e soluzioni. Quindi, un libro non solo di denuncia ma che chiama le donne a mollare gli ormeggi, a rifiutare ogni giorno quello che trovano offensivo e ingiusto».

Offese e ingiustizie quotidiane. Quali, per esempio?

«Tante. Possiamo partire dal linguaggio, per esempio, che esplicita una mentalità. Quante volte abbiamo sentito battute pesanti, volgari, sulle donne? Quante volte abbiamo visto le donne stesse sorridere per imbarazzo? Ecco, io consiglio a tutte di non farlo. Se una battuta crea imbarazzo, bisogna dirlo. Gli uomini che fanno ricorso solo al registro sessista sono privi di argomenti, senza capacità di elaborazione, e ricorrono a questo perché non hanno altro da dire».

In Basilicata, di recente, una frase sessista è stata pronunciata anche nell’assemblea regionale dal consigliere Leone – che poi si è scusato definendola una battuta infelice – nei riguardi dell’assessora Merra. Che ne pensa?

«È stata una frase vergognosa che mai dovrebbe essere pronunciata da un rappresentante delle istituzioni. L’unica cosa che quel consigliere dignitosamente doveva fare, era dimettersi. Quella non era una battuta, era l’espressione di una mentalità, di un’idea del femminile che è basata sul disprezzo. Non basta scusarsi, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. E secondo me, colleghi e colleghe dovevano intervenire subito per chiedere all’unanimità le dimissioni di questo signore, perché se gli uomini non prendono le distanze diventano complici. Il punto è che spesso frasi sessiste verso le donne da noi vengono considerate goliardia, ma non c’è nulla da ridere. Le offese di questo genere sono espressioni di sessismo e misoginia».

Altro tema caldo, quello del lavoro. La situazione è critica un po’ dappertutto ma in Lucania e al Sud assume aspetti più pesanti, specie per le donne.

«Banca d’Italia ha detto chiaramente che il nostro Paese rinuncia a sette punti di Pil (il Prodotto interno lordo) per non promuovere abbastanza l’occupazione femminile. La media dell’occupazione delle donne in Europa è del 62 per cento, nelle nostre regioni meridionali è di circa la metà. Questo fa male all’economia del Paese, perché chi rinuncia al capitale umano femminile rinuncia allo sviluppo. E questo è un altro segnale di arretratezza».

Cosa si può fare per invertire la rotta?

«Diverse cose ma faccio solo un esempio. Nella vicina Spagna hanno fatto una legge che prevede quattro mesi di congedo di genitorialità obbligatorio per padri e madri. Bene, con questa legge è aumentata l’occupazione femminile, perché assumere un uomo o una donna non fa più differenza per il datore di lavoro, poiché entrambi devono assumersi le stesse responsabilità di genitori. In Italia, invece, abbiamo un congedo di paternità di soli dieci giorni, eppure il 70% dei padri non lo prende. Solo in Italia gli uomini stentano a farsi carico delle responsabilità domestiche e non prendono il congedo di paternità perché temono di perdere la loro reputazione agli occhi dei colleghi. E questo non è normale».

E poi c’è la grande piaga della violenza nelle sue varie declinazioni, fino ad arrivare alla tragedia dei femminicidi, purtroppo sempre più frequenti…

«Ci sono uomini che considerano le donne oggetti di appartenenza. E quando le donne arrivano a dire “ti lascio”, non accettano quella decisione perché non se la aspettano, perché ritengono che quelle donne non abbiamo il diritto di decidere liberamente. In genere, il femminicidio arriva dopo anni di violenze, perché la donna decide di andarsene. È la reazione di un individuo pronto a tutto pur di sottometterla. È l’atto massimo del disprezzo nei suoi confronti. È un problema enorme, di sopraffazione, dovuto a una mentalità patriarcale, quella della “legge del padre” secondo la quale a comandare è l’uomo e solo l’uomo».

A proposito di diritti, che pensa della sentenza della Suprema Corte degli Stati Uniti contro l’interruzione volontaria di gravidanza?

«È un danno gravissimo. È una eredità che ha lasciato l’ex presidente Trump di cancellare i diritti delle donne, 50 anni di battaglie per l’affermazione della loro autodeterminazione ed è mirata soltanto a punire le donne. Lo ha fatto attraverso l’elezione di giudici iper conservatori. Mi auguro che i singoli Stati non ricorreranno al divieto dell’aborto, perché significherebbe esporre le donne a rischi enormi, costringendole a fare ricorso a interruzioni di gravidanza clandestine».

Tornando all’Italia, come si superano tutte le anomalie discriminatorie che riguardano le donne?

«Le cose cambieranno quando ogni donna deciderà di non abbozzare più, di non tirare avanti per quieto vivere, di non convivere con le ingiustizie e con la violenza. È un tema che non riguarda solo le donne. Riguarda anche e soprattutto gli uomini. C’è la necessità di cambiare la loro mentalità. È una battaglia culturale che dovremo fare tutti. C’è un grande lavoro in questo senso da portare avanti. Al di là delle leggi, che sono importanti e si possono sempre migliorare, bisogna però applicarle e renderle efficaci, altrimenti non si va da nessuna parte. Il lavoro principale bisogna farlo nelle scuole, nei circoli associativi, attraverso i mezzi di comunicazione e le campagne di sensibilizzazione, attraverso i social media».

Il libro è sulle donne ma lei lo dedica agli uomini. Perché?

«Sì, lo dedico agli uomini ma attenzione. Lo dedico a quelli che sanno voler bene alle donne, che le mandano avanti, che le sostengono nelle loro battaglie. Questo per dire che per andare avanti, per superare i tanti limiti che oggi esistono, ci deve essere una presa di responsabilità collettiva, soprattutto degli uomini, ovviamente, ma anche di quelle donne che hanno incamerato il patriarcato. O ci liberiamo di questo retaggio, oppure l’Italia resterà al palo. Insomma, la parità tra uomini e donne è un raggiungimento di civiltà e ostacolare questo percorso fa male al Paese».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE