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CATANZARO – Da manovalanza delle cosche Grande Aracri di Cutro e Arena di Isola Capo Rizzuto e di quella dei gaglianesi di Catanzaro a gruppo ‘ndranghetistico autonomo, ma il passaggio è avvenuto non senza conflitti. Questo lo senario criminale emerso dall’inchiesta condotta dalla polizia di Stato e coordinata dai pm Antimafia Paolo Sirleo e Debora Rizza che nell’aprile scorso ha portato a una sessantina di arresti con cui è stato disarticolato il clan degli zingari di Catanzaro, e che ieri si è chiusa con la notifica di 82 avvisi di conclusione delle indagini.

La pressione era sui quartieri Pistoia, Corvo, Aranceto, Germaneto e Lido, teatro diretto di traffici di droga, estorsioni e furti compiuti dalle famiglie Passalacqua e Bevilacqua, nomadi stanziali organizzati con metodo mafioso. La svolta, con l’acquisizione di autonomia operativa, risale al 2017 secondo le dichiarazioni dei pentiti, anche perché le cosche di Cutro e Isola hanno conferito doti di ‘ndrangheta agli zingari che alla fine sono divenuti gruppo indipendente. Addirittura, secondo quanto svelato dalla collaboratrice di giustizia Anna Maria Cerminara, ex compagna di Giovanni Passalacqua, ritenuto esponente di vertice del clan degli zingari, questi avevano acquisito anche il potere di “battezzare” gli affiliati.

Tra coloro che erano stati reclutati nella gerarchia della ‘ndrangheta Cosimo Abbruzzese detto “Tubu”, Luigi Pereloque Vecceloque alis “Marocchino”, Domenico Bevilacqua soprannominato “Toro Seduto”, Domenico Viceloque meglio conosciuto come “Mico rota liscia”, ma il percorso verso l’autonomia è stato caratterizzato da momenti di forte contrapposizione, specie con le cosche isolitane. In questo contesto, Vecceloque e Bevilacqua sono morti in agguati di mafia. Alla fine gli zingari, secondo quanto emerso dalla nuova indagine, si sono resi autonomi.

Le parentele sono importanti nella ‘ndrangheta. E forse anche questo ha favorito l’ascesa criminale del clan degli zingari. Fiumi di droga venivano riversati sulla “piazza” di Catanzaro dal ceppo dei “Pecorari” della famiglia Mannolo di San Leonardo di Cutro, imparentata con il clan rom stanziato nel capoluogo di regione. La base del narcotraffico era in un negozio di materiale edile a Steccato di Cutro, “Agriverde”, di Dante Mannolo. Cerminara, che ha già fatto arrestare l’ex convivente Giovanni Passalacqua e lo stesso Dante Mannolo per la maxi rapina al caveau di Caraffa, ha raccontato l’abilità del suo compagno, meglio conosciuto come “’u Gigliotti”, nell’ottenere grosse forniture di droga dai Mannolo. Sua figlia aveva sposato Dante Mannolo.

Inoltre, il figlio aveva sposato una figlia di Pasquale Mannolo. Fu lo stesso Passalacqua, del resto, a intervenire presso le cosche del Reggino per dirimere una controversia con la ‘ndrangheta di Rosarno perché i Mannolo, che storicamente là si approvvigionano, lamentavano la scarsa qualità della cocaina. In un’altra circostanza, Domenico Passalacqua rivendicherebbe il ruolo leader del padre a colloquio coi suoceri Pasquale Mannolo e Maria Grazia Rodolà, recriminando il fatto che aveva consentito di non far perdere 200mila euro ai sanleonardesi, adoperandosi per una controversia non meglio specificata.

La droga a Catanzaro, insomma, la rifornivano i Mannolo che la prendevano a Reggio e Vibo. Dante Mannolo, però, non la sapeva tagliare, secondo il pentito Santo Mirarchi, che ne rideva. «Non la tagliava neanche lui, la moglie, la figlia del Gigliotti… “’a taglia muglierimma, eu un ci capisciu nenti”…».

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