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Paolo Mascaro

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LAMEZIA TERME – Nelle 27 pagine della sentenza del Tar del Lazio (che potrebbe essere impugnata dall’Avvocatura dello Stato per conto del ministero dell’Interno, a meno che il sindaco Mascaro si dimetta dopo il suo reintegro consentendo così un ritorno alle urne fra qualche mese, un aspetto non da escludere, circostanza che consentirebbe anche ai ricorrenti, Mascaro e gli assessori, di chiedere il risarcimento danni) che ha annullato lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose (LEGGI LA NOTIZIA), i giudici scrivono che il provvedimento «oltre a non indicare in maniera puntuale condizionamenti e collusioni determinanti l’alterazione del procedimento di formazione della volontà dell’ente, degli organi elettivi ed il pregiudizio alla sicurezza pubblica, non terrebbe in alcun conto l’intensa attività della giunta per contrastare il fenomeno mafioso».

E che «a seguito di conoscenza della relazione conclusiva della Commissione d’accesso, depositata agli atti del giudizio civile di incandidabilità, i ricorrenti hanno proposto un ricorso per motivi aggiunti, individuando nuove ragioni a sostegno delle domande di annullamento già proposte con il ricorso introduttivo». Per i giudici, inoltre, «manca nel caso di specie, in sostanza, il profilo fondamentale teso a individuare il legame tra l’operato degli amministratori locali e il vantaggio, sia pure indiretto, delle “cosche” locali, attraverso gli evidenziati episodi – commissivi od omissivi – contestati».

 (LO SCIOGLIMENTO DI 5 COMUNI CALABRESI TRA CUI LAMEZIA)

E che «la funzione “preventiva” non può concentrarsi in una mera operazione deduttiva e astratta, scollegata da elementi concreti, univoci e rilevanti idonei a evidenziare una forma diretta o indiretta di condizionamento da parte della malavita organizzata». Sul coinvolgimento degli ex consiglieri comunali Giuseppe Paladino e Pasqualino Ruberto nell’inchiesta antimafia Crisalide (LEGGI TUTTE LE NOTIZIE), si giudici ritengono che «sono appartenenti ad un raggruppamento politico diverso da quello rappresentato in giunta, né il provvedimento individua attività degli stessi idonee a condizionare l’operato dell’organo consiliare, al quale gli stessi appartenevano, o dell’organo esecutivo, del quale, come visto, non facevano parte». E su uno dei candidati indagato durante la campagna elettorale i giudici del Tar scrivono che «non risulta eletto, così che non è dato comprendere, in assenza di indicazioni ulteriori in ordine ad una sua apprezzabile influenza sugli eletti e sugli assessori nominati, in che modo l’eventuale collegamento dello stesso con l’ambiente criminale possa aver condizionato l’operato della giunta e del consiglio. Il candidato sindaco odierno ricorrente, ha chiesto e ottenuto il ritiro della candidatura, così che lo stesso non ha proprio partecipato alla competizione elettorale».

(LE MOTIVAZIONI DELLO SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE DI LAMEZIA TERME)

E sul padre dellex presidente del consiglio comunale, Francesco De Sarro, a processo per compravendita di voti per il figlio, i giudici del Tar ritengono che « non erano maturati in un contesto riconducibile alla criminalità organizzata, né a diversa conclusione può giungersi in considerazione del fatto che la vicenda sia stata oggetto di discussione tra due persone intercettate». In riferimento alla doppia veste rivestita dal sindaco e dal vicesindaco di difensori di imputati di reati di “mafia” «va pure rilevato come la maggior durata degli incarichi difensivi sostenuta dalla difesa delle amministrazioni resistenti appare in contrasto con quanto affermato nella stessa relazione ministeriale (che riferisce che gli incarichi sono durati fino ai primi mesi del 2016). Con riferimento ai pretesi condizionamenti della campagna elettorale e alla contiguità degli amministratori con ambienti collegati alla criminalità organizzata, deve dunque «conclusivamente osservarsi come difettino, nella fattispecie, elementi dotati di sufficiente concretezza, univocità e rilevanza, atti a dimostrare, anche nel loro insieme e non singolarmente, già con riferimento al mero profilo soggettivo, e dunque all’esistenza di rapporti e frequentazioni rilevanti, la presenza di “collegamenti” degli amministratori con la criminalità ovvero di “condizionamento” degli stessi da parte della criminalità organizzata (sulla necessità, ai fini della legittima emanazione del decreto di scioglimento di profili di carattere soggettivo, riferiti alle persone degli amministratori, oltre che oggettivo, riferiti alla loro attività».

La relazione attribuisce poi particolare rilievo al fatto che la giunta disciolta operava in un territorio caratterizzato dalla presenza di quattro organizzazioni criminali, tra le più potenti del “sistema ndrangheta”, ma per i giudici del Tar «il contesto territoriale, tuttavia, nulla dice in ordine all’eventuale collegamento esistente tra gli amministratori di un determinato comune e la criminalità organizzata». «Nessuna particolare prova di collegamenti o condizionamenti dell’operato dell’amministrazione da parte delle organizzazioni mafiose può poi trarsi dall’esame delle vicende poste alla base del disposto scioglimento, sia pure valutate nel loro insieme. con riferimento all’assegnazione a una società cooperativa sociale agricola, gratuitamente e per quindici anni, di un bene di proprietà comunale, deve rilevarsi, in primo luogo, come la stessa relazione non individua collegamenti della società assegnataria con ambienti della criminalità organizzata, menzionando a carico di soci e dipendenti denunce, in massima parte risalenti, per reati comuni. La circostanza, come osservato dai ricorrenti, è peraltro coerente con il fatto che la cooperativa prevedeva la necessaria presenza di categorie svantaggiate tra i soci e i lavoratori (tra i quali i condannati), tanto più che l’assegnazione, avvenuta all’esito di una procedura concorsuale per la quale era stata presentata una sola offerta, era a titolo gratuito in ragione delle pessime condizioni del bene ed era stata disposta per uno scopo sociale».

«Quanto poi all’esistenza di un meccanismo di assegnazione degli appalti di lavori e di servizi, tale da realizzare una sorta di “rotazione” sempre tra le stesse ditte, deve rilevarsi – scrivono ancora i giudici nella sentenza – come la contestata assertività dell’affermazione, riferita in ricorso alla formulazione della proposta ministeriale, non viene meno alla luce della più diffusa esposizione contenuta nella relazione della Commissione d’indagine. n proposito, e con più dirimente rilievo, va poi considerato che la relazione della Commissione in questione non riconduce le ditte aggiudicatarie ad ambienti di criminalità organizzata, né individua le modalità di un eventuale interessamento degli amministratori sull’operato dei dirigenti in materia, così che resta irrilevante, ai fini che qui occupano, verificare se, come sostengono i ricorrenti, si trattava di lecito utilizzo dell’accordo quadro o se, come ritiene la Commissione, si era in presenza di un illegittimo recupero dei ribassi.

Quanto poi all’affidamento del servizio di mensa scolastica per il periodo 2016 – 2019, deve considerarsi come da un lato non emerge in che modo le segnalate irregolarità della procedura avrebbero favorito l’aggiudicataria, essendo peraltro rimasto incontestato il fatto che l’amministrazione aveva tempestivamente richiesto l’informativa antimafia, che non era pervenuta nei termini, e che la stessa, appena avuta notizia dell’adozione del provvedimento interdittivo (la cui ritardata adozione, rispetto a precedente provvedimento riguardante una controllata dell’aggiudicataria, non era imputabile all’ente locale), ha provveduto alla revoca della disposta aggiudicazione».

Per i giudici «non è poi chiarito il collegamento tra le irregolarità riscontrate in tema di delibere sul verde pubblico – invero spesso espresso, nella relazione della Commissione, sulla base di valutazioni tra di loro contraddittorie, che sembrano, di volta in volta, richiamare più ragioni di perplessità espresse dai dirigenti che irregolarità autonomamente accertate – e specifiche attività riconducibili ai componenti della giunta ovvero a favoritismi a beneficio di soggetti collegati alla criminalità organizzata locale.

Quanto al censurato affidamento di un appalto ad un’impresa il cui titolare sarebbe gravato da numerose segnalazioni all’autorità giudiziaria per diversi reati, avrebbe frequentazioni con appartenenti alla criminalità organizzata e avrebbe alle dipendenze soggetti indagati per indebita percezione di erogazioni a carico dello Stato, va poi rilevato come, dalla stessa relazione della Commissione, emerge che il titolare dell’impresa, è solo “segnalato” – e non condannato – per diversi reati comuni, mentre le “frequentazioni” a questo imputate non sono tali, atteso che la relazione menziona, quali prove di contiguità, tre soli controlli delle Forze dell’ordine – uno del 2007, uno del 2014 e uno del 2015 – nel corso dei quali il Torchia è stato trovato in compagnia di persone aventi precedenti per reati comuni.

La stessa proposta ministeriale e la relazione danno poi atto del fatto che ai dipendenti risultano imputati solo reati estranei all’area della criminalità organizzata. Le vicende dell’assegnazione a titolo gratuito di un bene e della vendita di un immobile comunale, quanto alla prima, appare oggettivamente non ravvisabile, né dedotto, un collegamento della beneficiaria del comodato alla criminalità organizzata. Quanto alla seconda vicenda – in relazione alla quale la relazione evidenzia come il bene, inserito, nel 2015, nel piano delle alienazioni e valorizzazioni del comune per l’anno 2015 per il valore di 650.000,00 è stato poi proposto in vendita, l’anno successivo, per un valore quasi doppio – deve rilevarsi come la relazione non individui, neppure in astratto, il collegamento di tali fatti con un’utilità della quale avrebbero beneficiato le organizzazioni criminali, tanto più che il bene non è stato in concreto venduto».

«Deve dunque rilevarsi come anche i descritti episodi di irregolarità amministrativa, neppure tutti provati, risultano in conclusione non inseriti “in un quadro che consenta di collocarle, in modo univoco, come effetti di una situazione di connivenza o di condizionamento, che ad esse teleologicamente orienta l’attività amministrativa”. In conclusione, ad avviso del Collegio gli atti gravati, non sono riusciti ad evidenziare, per assenza di univocità e concretezza delle evidenze utilizzate, la ricorrenza di un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, tale da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali in quanto tesa a favorire o a non contrastare la penetrazione della suddetta criminalità nell’apparato amministrativo».

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