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Un'aula di tribunale

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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Ennesimo e definitivo verdetto del processo d’appello ter per usura “Sisifo”. Un’assoluzione, due rideterminazioni di pena, revoca delle confische e una condanna confermata alla pena di 5 anni.

Si è concluso così il processo d’appello ter scaturito dall’operazione del 2007 “Sisifo”, celebrato dinnanzi alla Corte di Appello di Catanzaro, presieduta da Fabrizio Cosentino, (Ippolita Luzzo e Maria Rita De Girolamo a latere), a carico di Rosario Notarianni difeso dall’avvocato Aldo Ferraro, Antonio Salatino, difeso dagli avvocati Pino Spinelli e Antonio La Russa, Concetto Trovato, difeso dall’avvocato La Russa, Vincenzo Giampà, difeso dall’avvocato Vincenzo Visciglia, Sergio Ugo Roberto Greco, difeso dagli avvocati La Russa e Lucio Canzoniere e Francesco Orlandini difeso dall’avvocato Gianluca Careri.

Come si ricorderà, la Corte di Cassazione, con sentenza del 20 luglio 2018, aveva annullato (con rinvio) la condanna a 3 anni e 4 mesi di carcere per il reato di usura pronunciata in secondo grado nei confronti di Rosario Notarianni nonché le confische disposte nei confronti degli imputati, con conferma delle condanne comminate all’esito del giudizio di primo grado.

La Corte di Appello di Catanzaro, giudicando in sede di rinvio, nel processo d’appello bis ha assolto Notarianni dall’unico reato in contestazione “perché il fatto non sussiste”, disponendo nei suoi confronti la revoca delle pene accessorie, della confisca e la conseguente restituzione dei beni. La Corte d’Appello ha poi operato una rideterminazione delle pene comminate nei precedenti gradi di giudizio nei confronti di Trovato, condannandolo alla pena di 3 anni di reclusione e 6666 euro di multa, assolvendolo del reato di tentata estorsione; Giampà alla pena di 4 anni 4 e 8 e 1134 euro di multa, escludendo la recidiva; la Corte ha altresì disposto la revoca della confisca dei beni nei confronti degli imputati Orlandini, Salatino e Giampà, nonché dei terzi interessati, disponendo la restituzione in loro favore dei beni, confermando per il resto e respingendo le richieste di refusione delle spese proposte dalle parti civili. Unica condanna confermata (con pena di 5 anni) è quella di Greco.

Nel 2018, come si ricorderà, dopo 11 anni lunghi anni non era ancora stato possibile porre la parola fine all’operazione antiusura “Sisifo” (scattata il 7 marzo 2007) condotta dalla finanza quando furono arrestate sette persone ritenute responsabili di usura contro un imprenditore lametino operante nell’impiantistica elettrica che versava in stato di bisogno. Nel 2018, dopo varie sentenze (quella di primo grado fu emessa a marzo 2008 dal gup di Lamezia al termine del processo celebratosi con il rito abbreviato, a marzo 2009 l’appello e a luglio 2016 l’appello bis) era infatti giunto l’ennesimo annullamento dalla Corte di Cassazione che aveva integralmente accolto il ricorso dell’avvocato Ferraro difensore di Notarianni, La Cassazione, infatti, aveva disposto la celebrazione di un nuovo processo di appello (il terzo) che si è concluso ieri.

Come si ricorderà, in primo grado con il rito abbreviato, il gup di Lamezia a marzo 2008, condannò Giampà a 7 anni e 4 mesi e 1.400,00 di multa; Greco a 5 anni e 12.000,00 di multa; Trovato a 4 anni e 2 mesi e 10.000,00 di multa; Salatino a 4 anni e 10.000,00 di multa; Rosario Notarianni a 3 anni e 4 mesi di carcere e 6.000,00 di multa. Gianluca Notarianni a 3 anni e 6.000,00 di multa; Olandini a 3 anni e 6.000,00 di multa. Era stata disposta anche la confisca dei beni degli imputati. In secondo grado, la Corte di Appello di Catanzaro, a marzo del 2009, assolse però tutti gli imputati, rimettendoli in libertà dopo 2 anni di carcere, accogliendo l’eccezione difensiva secondo cui le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, Pasquale Miscimarra, erano inutilizzabili per un vizio procedurale, in quanto questi doveva essere sentito come indagato in procedimento connesso con la presenza di un difensore, e non invece come persona informata sui fatti.

A quel punto il procuratore generale propose ricorso per Cassazione, e la Suprema Corte, a ottobre del 2010, annullò le assoluzioni ritenendo che le dichiarazioni della persona offesa fossero invece valide, per cui gli imputati (che comunque restavano a piede libero) dovevano essere nuovamente processati. Il nuovo processo di appello si concluse a luglio 2016, con la quale la Corte di Appello aveva confermato integralmente la sentenza di condanna di primo grado nei confronti di tutti gli imputati, nonché la confisca che con la stessa era stata disposta. Quasi tutti gli imputati avevano poi proposto ricorso per Cassazione che nel 2018 aveva rimesso nuovamente tutto in discussione.

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