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I carabinieri sulla scenda del delitto Pagliuso

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LAMEZIA TERME (CZ) – Sentenza parzialmente riformata in appello. In primo grado due ergastoli, nel processo d’appello l’ergastolo è stato, invece, confermato per un solo imputato.

Per i giudici della prima sezione della Corte d’assise d’appello, l’ordine di uccidere l’avvocato Francesco Pagliuso (ucciso a Lamezia nella tarda serata del 9 agosto 2016) sarebbe partito solo da Luciano Scalise, il quale in secondo grado è stato confermato l’ergastolo, mentre Pino Scalise, padre di Luciano (entrambi difesi dall’avvocato Piero Chiodo) per l’accusa di essere stato il mandante del delitto insieme al figlio, in appello è stato assolto (ergastolo in primo grado al termine del processo con il rito abbreviato), mentre ora è stato condannato a 20 anni di carcere per l’accusa di associazione mafiosa e a 3 anni, 10 mesi e 20 giorni per sequestro di persona e violenza privata contro l’avvocato, oltre ad essere assolto anche per un altro capo d’accusa (un’altra violenza privata contro l’avvocato) perché il fatto non costituisce reato.

Confermate anche le condanne per altri tre imputati: 8 anni e 4 mesi per Angelo Rotella; 6 anni e 8 mesi per Vincenzo Mario Domanico e 7 anni nei confronti di Andrea Scalzo (pena da 8 anni e 2 mesi inflitti in primo grado rideterminata a 7 anni in appello). Questa, dunque, la sentenza della Corte d’assise d’appello di Catanzaro emessa dopo cinque ore di camera di consiglio nell’ambito del processo d’appello Reventinum, scaturito dall’omonima operazione coordinata dalla Dda, scattata a gennaio 2019 quando le indagini dei carabinieri avrebbero consentito di delineare gli assetti storici e attuali, nonché gli interessi criminali di due distinte e contrapposte cosche (con sullo sfondo il delitto Pagliuso) quella degli Scalise e dei Mezzatesta, derivanti – secondo gli inquirenti – dalla scissione del gruppo storico della montagna, nell’area del Reventino, compresa tra i comuni di Soveria Mannelli, Decollatura, Platania, Serrastretta e territori limitrofi.

Per gli imputati, le accuse contestate, a vario titolo, erano di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento a seguito di incendio, detenzione illegale di armi, aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose, mentre per Pino e Luciano Scalise anche di essere stati i mandanti dell’omicidio Pagliuso oltre che di sequestro di persona e violenza privata (contestato a Pino Scalise) nei confronti dello stesso avvocato ucciso.

Come si ricorderà, a febbraio scorso, il sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Catanzaro, Marisa Manzini, aveva chiesto la conferma dell’ergastolo per i presunti mandanti dell’omicidio e la conferma di altre tre condanne (per altri reati) tra cui la rideterminazione della pena per una delle tre posizioni. A ordinare l’eliminazione dell’avvocato Francesco Pagliuso – per l’accusa – sarebbero stati Pino e Luciano Scalise (padre e figlio di 65 e 45 anni) di Soveria Mannelli, nei confronti dei quali a giugno 2021 il gup Pietro Carè al termine del processo di primo grado scaturito dall’operazione “Reventinum” celebratosi con il rito abbreviato, aveva inflitto l’ergastolo a padre e figlio, ritenuti ai vertici della cosca della montagna i quali avrebbero incarico al presunto killer, Marco Gallo (condannato all’ergastolo in primo grado dalla Corte d’Assise a dicembre 2021 in un separato processo con l’esclusione dell’aggravante mafiosa) di uccidere l’avvocato. L’operazione “Reventinum” fece emergere anche il movente dell’omicidio dell’avvocato (nell’ambito di una faida scoppiata fra gli Scalise e i Mezzatesta che provocò altri fatti di sangue) che prima della sua uccisione sarebbe rimasto vittima di un sequestro di persona. Il penalista sarebbe stato portato incappucciato da Lamezia in un bosco del Reventino, dove fu costretto a stare legato dinnanzi ad una buca scavata nel terreno con un mezzo meccanico.

Il tutto al fine di piegare l’avvocato alla volontà della cosca, specie con riferimento alle determinazioni e al comportamento da tenere in un procedimento a carico di Daniele Scalise (figlio di Pino, ucciso nel 2014). Dopo il sequestro di persona, Luciano Scalise, avrebbe ordinato l’omicidio dell’avvocato; dalle indagini risultarono continui contatti prima e dopo l’omicidio con il presunto killer dell’avvocato, accusato dagli Scalise anche di aver favorito la latitanza di Domenico Mezzatesta di cui Pagliuso era il legale in un processo per un duplice delitto avvenuto a gennaio 2013 all’interno di un bar di Decollatura. Gli imputati, a vario titolo, sono stati condannati anche e risarcire le parti civili: la moglie dell’avvocato anche per conto del figlio minore, la sorella dell’avvocato ucciso, Antonia Pagliuso, la madre e i nipoti (rappresentati dagli avvocati  Aldo Ferraro, Salvatore Staiano, Nunzio Raimondi, Candido Bonaventura, Vincenzo Galeota, Giuseppe Zofrea) i comuni di Platania, Decollatura e Soveria Mannelli, Lamezia Terme (rappresentato dall’avvocato Caterina Restuccia) Provincia di Catanzaro, Regione Calabria, Camera penale di Lamezia e associazione lametina antiracket (rappresentata dall’avvocato Carlo Carere).

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