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Il giudice sospeso della Corte d’Appello di Catanzaro Marco Petrini

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CATANZARO – Tra non molto, il giudice della Corte d’Appello di Catanzaro Marco Petrini potrebbe tornare in servizio e reindossare la sua toga dopo la sua sospensione. Dopo 14 assoluzioni e 28 archiviazioni, si è sgonfiato l’impianto originario dell’inchiesta “Genesi”, che lo vedeva al centro di un vasto giro di corruzione giudiziaria. E a febbraio 2024, secondo i calcoli del suo difensore, l’avvocato Francesco Calderaro, Petrini potrebbe essere riammesso nelle funzioni perché dopo la condanna nel processo madre non è stata ancora fissata l’udienza in Cassazione e prima che arrivi la sentenza definitiva Petrini potrà tornare a fare il giudice. A ciò si aggiunga che nel marzo scorso il Csm ha sospeso il procedimento disciplinare in attesa della definizione di quello penale e che il magistrato ha già ripreso a percepire lo stipendio sia pure in forma ridotta, non svolgendo le funzioni.

La vicenda è complessa. Cerchiamo di fare ordine. Partiamo da ieri mattina, da quello che è successo davanti al Tribunale penale di Salerno che si è riservato la decisione su un’eccezione di nullità che potrebbe far regredire alla fase delle indagini preliminari il procedimento per corruzione in atti giudiziari aggravata dal metodo mafioso nei confronti dell’ex giudice. Un’eccezione sollevata dall’avvocato Calderaro alla quale si è peraltro associata la pm Francesca Fittipaldi, forse al fine di scongiurare un vulnus che potrebbe disinnescare il processo. Secondo il legale di Petrini, si sarebbe configurata una violazione del diritto di difesa avendo il gup di Salerno rinviato a giudizio il suo assistito in accoglimento della richiesta della Dda della città campana che modificò le accuse con contestazioni suppletive in assenza dell’imputato, al quale non è stato concesso il termine per visionare gli atti. Lo stesso reato per il quale Petrini è stato rinviato a giudizio viene contestato anche all’imprenditore Rocco Delfino ed all’avvocato ed ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, per i quali si procede separatamente. Secondo l’accusa, Pittelli, in qualità di difensore di Delfino e in accordo con quest’ultimo, avrebbe promesso al giudice Petrini, che avrebbe accettato la proposta, una somma di denaro in cambio della revoca del provvedimento di confisca dei beni dell’imprenditore, accusato di essere legato alla cosca Molè Piromalli di Gioia Tauro.

L’accordo corruttivo, secondo la Dda di Salerno, non si è concretizzato a causa all’arresto di Pittelli, eseguito nel dicembre del 2019 nell’ambito dell’operazione Rinascita-Scott, coordinata della Dda di Catanzaro (in primo grado l’ex senatore è stato poi condannato a 1 1 anni). La sospensione dal servizio era scattata per Petrini contestualmente alla misura cautelare eseguita nel gennaio 2020 per fatti per i quali è stato condannato, non ancora in via definitiva, nel processo cosiddetto madre: in Appello, gli è stata inflitta la pena di 4 anni e 4 mesi per corruzione in atti giudiziari esclusa l’aggravante mafiosa. Era stata confermata sia la condanna al risarcimento del danno al ministero della Giustizia che quella all’interdizione dai pubblici uffici per 3 anni e 6 mesi. Si tratta del processo col rito abbreviato nel quale sono stati condannati anche il medico di Cariati Emilio Santoro e l’avvocato del Foro di Catanzaro Francesco Saraco, di Santa Caterina dello Jonio. Venti giorni fa è stato presentato il ricorso dalla difesa di Petrini, l’udienza dinanzi ai supremi giudici non è stata ancora fissata, il calcolo di cinque anni di sospensione decorre dal periodo al quale risalgono i fatti contestati, che sono del 2019. Certo, se la Cassazione dovesse confermare la sentenza, il procuratore generale promuoverà l’iter per la decadenza, ma nel frattempo Petrini potrebbe tornare a fare il giudice.

Nessuna sospensione dal servizio è stata disposta contestualmente alla condanna a due anni e otto mesi per corruzione in atti giudiziari all’ex presidente Petrini e all’avvocato ed ex sindaco di Rende Marcello Manna, incastrati dal video che immortalerebbe la consegna da parte di quest’ultimo di 5mila euro al fine di ottenere una sentenza favorevole per il suo assistito, Francesco Patitucci, che in primo grado era stato condannato a 30 anni di carcere per l’omicidio di Luca Bruni ma poi venne assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro. Tutto il resto, tra dichiarazioni accusatorie non riscontrate e anche smentite dagli accertamenti, è stato archiviato a carico non solo di Petrini ma anche di altri magistrati, avvocati, commercialisti e imprenditori di Catanzaro e Cosenza. In particolare, la tesi della “cupola” di giudici e avvocati che condizionava processi è ormai crollata. «È caduto quasi tutto, rispetto all’impostazione iniziale non c’è quasi nulla – dice l’avvocato Calderaro al Quotidiano – non è una possibilità ma una certezza, dopo cinque anni i magistrati sospesi tornano in servizio. Petrini potrebbe riacquistare le sue funzioni a febbraio 2024».

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