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Francesco Pagliuso

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CATANZARO – Al centro dell’operazione Reventinum (SCOPRI I CONTENUTI SULL’OPERAZIONE REVENTINUM) c’è anche la vicenda relativa al rapimento dell’avvocato Francesco Pagliuso in seguito rimasto vittima di un omicidio (SCOPRI TUTTI I CONTENUTI SULL’OMICIDIO DI FRANCESCO PAGLIUSO).

In particolare, la Procura ha spiegato come «la capacità criminale e la tracotanza della cosca Scalise» hanno portato «nella seconda metà del 2012» ad una vera e propria azione intimidatoria nei confronti dell’avvocato Pagliuso.

La Dda spiega che «Pagliuso, accusato di un minor impegno professionale e di aver commesso degli errori nella linea difensiva a tutela di Daniele Scalise» fu «privato della libertà personale, incappucciato e condotto con la forza da Lamezia Terme in un bosco della zona montana del Reventino ove veniva costretto a stare, legato ed impossibilitato a muoversi liberamene, dinanzi ad una buca scavata nel terreno con un mezzo meccanico. Il tutto – si legge ancora nelle carte della Procura – al fine di piegare l’avvocato alla volontà della cosca specie con riferimento alle determinazioni e al comportamento da tenere nel procedimento a carico di Daniele Scalise».

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Quello che era in sostanza un vero e proprio sequestro di persona oltre che una violenza privata veniva «perpetrato con l’aggravante mafiosa» ed è oggi contestato a Pino Scalise (nella foto) tenuto conto che «gli altri correi sono nel frattempo deceduti a seguito di azioni omicidiarie». Inoltre, «lo stesso Pino Scalise, in un secondo momento, non esisterà a reiterare ulteriori minacce raggiungendo l’avvocato Pagliuso direttamente nel suo studio a Lamezia Terme».

 

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