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Sergio Abramo

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CATANZARO – Cosa hanno in comune Mario Draghi, premier incaricato a formare un nuovo governo, e Sergio Abramo, sindaco di Catanzaro? L’ossessione per i numeri. Quelli che servono a reggere le sorti di un’amministrazione che sia in grado di dare risposte in un momento drammatico dal punta di vista sociale ed economico, con lo spettro delle urne a complicare programmazione e “visione”.

Il sindaco di Catanzaro, nonché presidente della Provincia, da qualche mese si trova a gestire – oltre alle mai sopite velleità personali dirette alla conquista dello scranno più importante della Cittadella regionale – una maggioranza litigiosa, frammentata e molto fragile, in cui convivono diverse anime. Un centrodestra talmente riottoso che non è in grado di mettersi d’accordo sulla nomina di un revisore dei conti, né tanto meno sulla scelta di far slittare una seduta di consiglio per cui si sapeva che non ci sarebbero stati i numeri necessari per arrivare uniti all’appuntamento con il nome da scegliere: i capigruppo, convocati da Abramo, decidono insieme di non rispondere all’appello, e il giorno dopo la seduta si tiene regolarmente perché – grazie ai sei reduci della minoranza di centrosinistra – i numeri per aprire il dibattito ci sono. Ergo, la maggioranza smentisce se stessa.

Il sindaco Abramo, ormai da mesi, da un lato può contare sul sostegno incondizionato delle liste civiche – “Catanzaro da Vivere” che fa riferimento al consigliere regionale Baldo Esposito che esprime il presidente del Consiglio comunale e più assessori dei consiglieri eletti, e la lista che porta il suo nome “Catanzaro con Abramo” – dall’altro si trova con un rinvigorito asse tra Forza Italia e Udc che mira a restituire peso alla politica, quella dei partiti rappresentati nelle massime assemblee elettive, dal Parlamento in su.

Un braccio di ferro tra varie componenti che puntano a contare e a far contare, con direzione obbligata un rimpasto di giunta destinato a ricalibrare gli equilibri di un centrodestra in cerca d’identità, manuale Cencelli alla mano. Ma su questa allegra confusione, che il lìder maximo della coalizione spera di chiarire nell’interpartitica di lunedì 8 febbraio, pende la spada di damocle del paventato accesso della commissione antimafia: le carte delle inchieste “Farmabusiness” (LEGGI TUTTE LE NOTIZIE) e di “Basso Profilo” (LEGGI) che la Prefettura ha richiesto alla Procura di Catanzaro, raccontano di un intreccio tra imprenditoria, politica e ’ndrangheta che avrebbero condizionato anche le elezioni comunali del 2017.

Si continua a parlare di “listini per l’acquisto dei voti”, di un mercato che lascia temere implicazioni giudiziarie tali da non escludere un accesso finalizzato allo scioglimento anticipato della consiliatura.

Lo temono, soprattutto, i rappresentanti della minoranza – dal movimento “Cambiavento” che ha espresso il candidato sindaco Nicola Fiorita, alla portavoce delle Sardine, Jasmine Cristallo fino a “Fare per Catanzaro” e senza dimenticare la senatrice grillina Bianca Laura Granato – che invitano il centrodestra a dimettersi anzitempo proprio per evitare a Catanzaro l’onta di uno scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose che il Capoluogo di regione non merita.

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