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Il direttore Domenico Pappaterra

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CATANZARO – «Entro il 30 giugno proporrò alla giunta regionale la riforma organica dell’Arpacal, perché il regolamento sul quale si regge l’agenzia è stato disconosciuto dal personale del comparto e da quello della dirigenza; è un regolamento che non è funzionale all’attività, ha scavato molte disuguaglianze, mentre occorre portare avanti una grande opera di riforma». Domenico Pappaterra, direttore generale di Arpacal, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, fissa le tappe per la ripresa di un ente che appare inceppato, il cui personale è fuggito negli anni e che non riesce ora a fornire tutte le risposte che si attendono da una struttura dalle grandi potenzialità.

L’INCHIESTA: LA MACCHINA INCEPPATA DELL’ARPACAL

Pappaterra ha tracciato con il Quotidiano il percorso e le difficoltà vissute dall’agenzia, nonostante le centinaia di assunzioni effettuate negli anni, seguite poi da una fuga di massa. Il direttore generale, nominato un anno e mezzo fa, ha rassicurato rispetto alla vaccinazione dei dipendenti contro il Covid-19. Sul Centro Multirischi, Pappaterra ha specificato che «non c’è alcuna anomalia, dal momento che, per legge, fa tutto capo all’Arpacal. Tra l’altro, la Regione doveva erogare 300mila euro annui per il centro, ma in dieci anni – ha detto – non abbiamo mai visto risorse».

«La legge istitutiva dell’Arpacal – ha spiegato Pappaterra – prevedeva il finanziamento attraverso l’1% del fondo sanitario. Una previsione disattesa e che quest’anno si è fermata allo 0,42%. Questa è la madre di tutte le battaglie, perché poi è complicato portare avanti le attività di ricerca e prevenzione. Attualmente, con la squadra che abbiamo, riusciamo a malapena a fronteggiare quelle che sono le attività di istituto. L’assessore De Caprio considera l’Arpacal il suo braccio operativo ed ha evidenziato al commissario Longo come manchino le risorse. Il personale demotivato che ha lasciato l’agenzia, lo ha fatto perché negli ultimi anni l’agenzia è stata abbandonata a sé stessa. Tanti dirigenti rimasti sono davvero “generali senza esercito”».

Quindi, cosa fare?

«Dobbiamo stare con i piedi per terra. AssoArpa, l’associazione delle Arpa italiane, dice che il rapporto tra il numero dei dipendenti e la popolazione deve essere di 1 ogni 6.500 abitanti. Il dato realistico deve essere circa di 320/330 unità che devono essere previste dalla pianta organica. Il dubbio riguarda se il personale attualmente esistente, circa 250 unità, sia stato utilizzato a pieno. Perché è vero che abbiamo carenze, come nel caso del dipartimento di Crotone, ma l’utilizzo deve essere razionalizzato con un servizio che non sia più a compartimento stagno per i dipartimenti. Il personale deve considerarsi su scala regionale, anche grazie allo smart working e alla digitalizzazione. La discrasia che avete segnalato deve essere corretta».

Eppure, alcuni dipendenti sono stati trasferiti anche negli ultimi mesi.

«Abbiamo sospeso ogni possibilità di trasferimento, quelli trasferiti ultimamente hanno vinto regolari concorsi quindi non sono più nostri dipendenti. Figure che ora andranno rimpiazzate».

Su Crotone la situazione è molto seria: il Sin dovrebbe avere maggiore attenzione per la bonifica e qui lo smart working non serve.

«Mi auguro che il Governo nomini nelle prossime ore il commissario per l’attivazione delle misure previste su Crotone. Noi accompagneremo le attività con azioni costanti. Attraverso la convenzione firmata recluteremo personale specialistico che affiancherà le poche unità che abbiamo su Crotone. C’è poi un problema di merito: il sindaco Voce ha espresso criticità sulle modalità con cui si sta procedendo, sostenendo che ci sia molta messa in sicurezza e poca bonifica. Dopo le festività pasquali sarà attivato un incontro per capire queste perplessità e il possibile fondamento».

Risulta che dopo il nostro articolo siano stati prorogati per tre mesi i direttori che andavano nominati in questi giorni, perché?

«Entro il 31 marzo scadono tutti i contratti sottoscritti dai dirigenti nel 2018. Convocherò dopo Pasqua l’organismo paritetico per procedere alla riforma. Tre mesi sono legati ad una proroga tecnica per evitare che mancassero i dirigenti».

Il tema della prevenzione è quello principale per Arpacal, eppure non appare esserci molta attività su questo.

«L’agenzia ha sviluppato la propria attività per i fini istituzionali e obbligatorie, compresa la collaborazione con Regione, Procure e forze dell’ordine. Questo ci ha fatto trascurare la prevenzione per alcuni rischi e per la ricerca. Ci sono però iniziative significative, penso all’amianto e al radon. La Calabria era considerata “Radonfree” e invece è venuta alla luce una forte presenza di questo gas radioattivo. Siamo partiti con le scuole e un esempio è l’istituto di Celico dove abbiamo individuato il gas e indicato la bonifica. Nella nuova pianta organica serviranno figure professionali che non replichino quelle che abbiamo, ma che possano spingersi sul terreno della tutela ambientale e della salute dei cittadini. Abbiamo anche attivato un corso di laurea con la “Magna Graecia” di Catanzaro per formare giovani per attività di prevenzione e ricerca».

Molte inchieste hanno evidenziato gravi problemi per i rifiuti, soprattutto per quelli sepolti o gettati in mare. Cosa si sta facendo?

«Per la depurazione stiamo avviando l’installazione di alcuni campionatori su tutti gli impianti calabresi per avere risultati in tempo reale. Con “Marine Strategy” cureremo lo studio delle microplastiche, degli scarichi industriali, dei fondali e della biodiversità. Abbiamo avviato la verifica delle aste fluviali, monitorando il fiume Oliva ad Amantea, il Mesima nel Vibonese e il torrente Budello a Gioia Tauro, luoghi dove sono state scaricate sostanze nocive con un pericolo molto forte. Con la Regione stiamo definendo il piano di tutela delle acque superficiali per avere la competenza all’Arpacal».

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