Il dottor Martino e il senegalese Dahoud
4 minuti per la letturaL’odissea del migrante Dahoud, del Senegal e il sogno che si avvera grazie al chirurgo catanzarese Francesco Martino. La “pagina” solidarietà scritta nel Bresciano presto diventerà un film
BRESCIA – Arriva dal bresciano ed ha come protagonista un chirurgo catanzarese da anni trapiantato in Lombardia ed un immigrato senegalese deciso a non lasciarsi vincere dalle avversità della vita una bellissima storia di integrazione e di riscatto che presto sarà adattata in un racconto cinematografico dal titolo “Sogni di Terra” per i tipi della PagodaFilm e la regia di Luca Rabotti. La storia ha inizio quando Dahoud, sbarcato in Italia grazie ad uno dei mille “viaggi della speranza” che spesso seminano morte e cadaveri sulle spiagge del Mediterraneo, decide di allungare la propria odissea verso l’agognata Lombardia, terra, nell’immaginario collettivo, di sogni possibili e di opportunità da cogliere al volo.
Senoché, la realtà è spesso tanto più amara anche di quelli che sono i sogni di un disperato e così Dahoud si imbatte nella crisi che investe anche l’opulento Nord e la fabbrichetta di Lumezzane nella quale aveva faticosamente trovato lavoro fallisce lasciandolo con il permesso di soggiorno scaduto e senza nemmeno i soldi per fare ritorno in patria. Sono giorni terribili quelli che Dohuod condivide con altri cinque connazionali negli angusti spazi di un monolocale, freddo e spoglio, di Lumezzane ma Dahoud non si dà per vinto e, mandata al diavolo la tentazione di chi gli chiede di rubare per potere sopravvivere, decide che non è ancora il momento di darsi per vinto.
A furia di girovagare e di racimolare elemosine e carità nelle mense dei senza tetto, Dohuod arriva fino ad un parcheggio di servizio dell’ospedale di Chiari, nel Bresciano, laddove, combattendo anche il racket dei miserabili, riesce in qualche maniera a racimolare quale qualche euro infine imbattendosi nell’altro protagonista di questa storia: Francesco Martino, di professione medico chirurgo, biondo, alto e di bell’aspetto e per questo immediatamente apostrofato, dallo stesso Dahoud, come «il dottore americano playboy».
La complicità tra i due, pur diversissimi in tutto, è immediata e Dahoud diventa il pupillo del “dottore americano” che a sua volta diventa la dinamo che dà a Dahoud la forza di resistere e di aprire il suo cuore e le sue parole alla speranza di un futuro migliore. Come in ogni storia che si rispetti, non mancano però i colpi di scena ed il Covid sembra essere il colpo di grazia sulle speranze di Dahoud di poter sopravvivere dignitosamente. Nessuno può più uscire e nessuno parcheggia la sua auto in cambio dei 30 centesimi che Dahoud chiede per il servizio.
Ancora una volta sono la fame e la disperazione le compagnie di Dahoud che ha però nel frattempo scoperto di avere qualcosa di più di un amico in Francesco che gli versa una piccola quota al mese per consentirgli di passare questo ennesimo inverno della sua vita e che, alla fine, gli porge la domanda che apre il cuore alla speranza: «Ma tu, cos’è che vorresti veramente fare?». E la risposta di Dahoud è allo stesso tempo semplice e disarmante. «Il mio sogno – spiega il senegalese gentile – è quello di tornare a casa, da mia madre vedova e costruire una fattoria dove poter vivere».
È il grimaldello che apre definitivamente il cuore di Francesco che, con l’aiuto di qualche altro amico, non esita a mettersi personalmente in gioco e a diventare il motore pulsante di un meccanismo complesso che consente a Dahoud di tornare in patria e di fondare la fattoria dei suoi sogni. Che, poiché dal bene deriva sempre altrettanto bene, in poco tempo è diventato un centro di aggregazione ed un simbolo di riscatto in un angolo dimenticato di mondo. Dahoud, infatti, adotta immediatamente tre bimbi abbandonati frutto di una storia di violenza sottraendoli ad un crudele destino di morte e trasforma la fattoria non solo in una impresa agricola ma in un luogo di solidarietà e speranza facendo crescere la comunità dei dintorni e provando a dare ad altri quella seconda possibilità che lui ha avuto regalata dal suo amico medico.
Partendo da 50 pulcini: «Non avevo i soldi per comprare una mucca – spiega Dahoud – e poi i pulcini diventano galline e le galline danno le uova e le uova sono merce rara dalle mie parti», ora Dahoud ha un allevamento di circa 6500 volatili ed ha impiantato quasi 500 tra alberi di limoni che «danno frutti tre o quattro volte l’anno e non una sola come arance e mandarini», di mango e di papaya. E così, oggi, a due ore da Dakar, c’è un’oasi di speranza e di solidarietà, dove, grazie anche ad un medico catanzarese che non si è voltato dall’altra parte, è possibile sognare un futuro migliore per chi dalla vita ha avuto poco o nulla.
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