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Estate in carcere, nei mesi caldi anche nei penitenziari calabresi, in celle spesso sovraffollate e insalubri, aumentano le criticità.

COSENZA – Il caldo che scoppia come solo ad agosto sa fare, il personale che va in ferie, i volontari che si prendono anche loro una pausa. È l’estate dei detenuti, quella che, anche a causa dei fattori sopra elencati, vede acuirsi, in celle spesso sovraffollate e insalubri, le criticità: aumentano i casi di suicidi (quello di ieri a Rossano sarebbe il 47esimo dall’inizio dell’anno in tutta Italia), aumentano gli episodi di aggressione agli agenti, aumentano le rivolte dietro le sbarre. Ma gli allarmi sembrano restare vani: inascoltato, ancora una volta, il “pianeta” carcerario, dove persino i residui di libertà vengono dimenticati.

Basti pensare a quanto sarebbe importante per chi si trova rinchiuso in una cella trascorrere le giornate impegnandosi in qualcosa – un lavoro, un’attività -, senza dover esclusivamente attendere l’ora d’aria o dei pasti. A quanto sia importante farlo soprattutto in questi mesi estivi. Sul punto l’Osservatorio Antigone parla chiaro: «In media – si legge nella relazione dell’associazione a tutela dei diritti dei reclusi – le persone che lavorano per il carcere stesso sono il 33,5 per cento dei presenti, con valori però molto diseguali, dal 94 per cento di Isili o il 75 per cento di Orvieto, al 14 per cento di Altamura e addirittura il 4 per cento di Paola».

Nel penitenziario di Paola, in provincia di Cosenza, il lavoro appare, dunque, come un vero e proprio “miraggio”. «Non è affatto adeguata – scrive Antigone – l’offerta di attività in grado di riempire di senso le giornate in carcere e preparare, anche in virtù di quanto previsto dalla Costituzione, al momento del fine pena». Certo, le eccezioni virtuose non mancano. Ma si tratta, per l’appunto, di eccezioni («In media poi le persone che partecipano a percorsi di formazione professionale sono il 5,4 per cento dei presenti, il dato forse più scoraggiante in assoluto se si pensa all’importanza del lavoro per un percorso di reinserimento sociale. Non mancano eccezioni virtuose, come il carcere di Reggio Calabria Arghillà, dove questa percentuale è quasi del 40 per cento», rileva, non a caso, l’Osservatorio Antigone).

E sempre in base ai dati forniti dall’associazione il quadro che emerge non è affatto entusiasmante. Al “Panzera” di Reggio Calabria, ad esempio (data dell’ultima visita risalente a sei mesi fa), non ci sono lavoratori per datori di lavoro esterni e, inoltre, non è attivo alcun programma di “lavoro di pubblica utilità”, nonché, fatta eccezione per il corso di sartoria attivo soltanto per la sezione femminile, non sono previsti corsi di formazione professionale. Antigone rileva poi che nel penitenziario di Reggio «i detenuti non hanno accesso settimanalmente a una palestra né a un campo sportivo; non esiste, al suo interno, un’area verde per i colloqui all’aperto e in generale gli spazi comuni sono poco utilizzati e si trovano in cattive condizioni».

Manca il lavoro, mancano le attività e a peggiorare le condizioni dei detenuti, come si diceva, ci si mette anche il caldo. Già nelle scorse settimane il garante regionale dei diritti delle persone detenute Luca Muglia aveva inoltrato alle autorità competenti una nota avente ad oggetto l’adozione di misure urgenti anti-caldo, a segno di quanto il problema esista e sia concreto. D’altronde in certi istituti calabresi sono «assenti le docce – rilevava Muglia – nelle camere detentive e recenti lavori di ristrutturazione hanno generato maggiore sovraffollamento».

«Molte sezioni non sono state ristrutturate e alcune celle risultano prive di docce. Quelle comuni, presenti nei corridoi, sono infatti ricoperte da muffe e infiltrazioni», scrive sempre Antigone a questo proposito riferendosi all’istituto di Catanzaro “Ugo Caridi” visitato a febbraio scorso. E poi, sulla casa circondariale di Palmi “Sansalone”, visitata anch’essa nello stesso periodo, afferma: «Sono scomparse le docce comuni “ricostruite” all’interno delle celle. Occorre precisare, però, che i lavori sembrano aver interessato solo minimamente la parte esterna, determinando infiltrazioni d’acqua dentro le celle di alta sicurezza e umidità; inoltre, la sezione di media sicurezza è rimasta nella sua inaccettabile condizione originaria, con docce comuni situate nel corridoio e spazi detentivi angusti. Gli spazi oggetto di ristrutturazione (i nuovi passeggi), a distanza di quasi un anno dall’ultima visita, risultano ancora in ristrutturazione.

Nonostante vi sia un elevato numero di persone detenute con pene molto lunghe vi è la totale mancanza di attività trattamentali, corsi di formazione e opportunità di lavori professionalizzanti. In generale, è stato spontaneamente segnalato un clima oppressivo, che sul piano strutturale è ben rappresentato dalle fitte reti antigetto da sempre presenti sulle finestre delle celle e dal fatto che vige il regime a celle chiuse».
Una lunga estate, pertanto. Per i detenuti all’insegna dei (loro) diritti sommersi.

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