X
<
>

Sandro Principe

Condividi:
3 minuti per la lettura

Nove anni di carcere per Sandro Principe, uno in meno per Umberto Bernaudo e sette anni e sei mesi per Pietro Ruffolo. Sono queste le richieste di pena avanzate ieri dalla Dda di Catanzaro nei confronti dei tre politici rendesi sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e voto di scambio. A rispondere solo di quest’ultima accusa c’è un altro imputato, l’ex assessore comunale Giuseppe Gagliardi, per il quale sono stati invocati due anni di reclusione.

Anche lui, unitamente a Bernaudo e Ruffolo, è stato amministratore del Comune d’oltre Campagnano in un periodo storico durante il quale, secondo la Procura antimafia, la vita pubblica del Municipio era condizionata dalle cosche, in particolare dal clan di Ettore Lanzino.

Non a caso, è proprio questo il tema dell’inchiesta giudiziaria che ha nell’ex leader socialista il protagonista principale. Per lui il pm Pierpaolo Bruni propone una formula storica già utilizzata per Bettino Craxi e rivista e corretta oggi a misura dell’ex sottosegretario di Stato, anche consigliere e assessore regionale nonché più volte sindaco della città rendese: «Non poteva non sapere, sia quand’era sindaco che in epoca successiva perché a guidare la vita amministrativa della città era sempre lui».

Un teorema su cui si fonda in gran parte un processo – nome in codice “Sistema” – durante il quale il principale imputato ha più volte rilasciato dichiarazioni spontanee per respingere le accuse mosse contro di lui. «Ho la coscienza a posto» aveva detto nel corso di una precedente udienza, ribadendo di aver agito «sempre nel rispetto delle regole e delle istituzioni».

Di contro, invece, la pubblica accusa ritiene che l’intreccio politico-mafioso in vigore a Rende abbia consentito a lui e agli altri politici coinvolti di ottenere l’appoggio elettorale da parte di personaggi di rilievo del clan Lanzino come Michele Di Puppo e Adolfo D’Ambrosio. Ciò sarebbe avvenuto in occasione delle elezioni comunali dal 1999 al 2011, in quelle per il rinnovo del consiglio provinciale di Cosenza del 2009 e del consiglio regionale del 2010. Per dimostrare tutto questo gli inquirenti fanno leva sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia – Da Roberto Calabrese Violetta a Francesco Galdi passando per Pierluigi Terrazzano ed Edyta Kopaczynska – secondo i quali il sostegno della ’ndrangheta sarebbe stato poi ricompensato dai politici con elargizioni in denaro e altre concessioni. In tal senso, l’ipotesi è che a beneficiarne più di altri sia stato D’Ambrosio, favorito con l’apertura di un piccolo bar in quel di Villaggio Europa.

«Non ho mai favorito la mafia. Anzi, la mia azione è stata orientata in favore di scuole e parrocchie che sono, da sempre, gli anticorpi più incisivi nel contrasto alle mafie stesse» aveva aggiunto Principe nel corso della sua lunga autodifesa, ma tant’è: dopo la requisitoria di Bruni, i lavori in aula sono stati aggiornati al 28 marzo, data in cui avranno inizio le discussioni difensive. Quel giorno sono in programma le arringhe degli avvocati Franco Sammarco, Paolo Sammarco e Anna Spada (Principe), Franz Caruso e Francesco Tenuta (Ruffolo), Francesco Calabrò (Bernaudo) e Marco Gagliardi (Ruffolo). Alle eventuali repliche del pubblico ministero, seguirà la pronuncia della sentenza di primo grado.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE