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Denis Bergamini

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COSENZA – «Lui amava vivere». A ogni domanda dell’avvocato Angelo Pugliese, difensore di Isabella Internò, Bruno Caneo risponde con questo inciso a mo’ di sfida. È il terzo testimone del giorno e siamo alla fine di un’udienza che si è già protratta per otto ore di fila. L’ennesima ad alta tensione.

La scena è quella del processo “Denis Bergamini”, il calciatore del Cosenza morto sotto alle ruote di un camion il 18 novembre del 1989 all’età di 27 anni. Un omicidio secondo la Procura di Castrovillari che, trentadue anni dopo, dopo ripetuti tentativi falliti, ha trascinato a giudizio l’ex fidanzata della vittima, all’epoca diciannovenne.

Nervi ancora a fior di pelle in aula, dicevamo, e in tal senso la prima del nuovo procuratore Alessandro D’Alessio è servita ad abbassare i toni di qualche decibel, senza allentare le tensioni determinate dalla presenza, sul banco degli imputati, di una donna sotto assedio mediatico e giudiziario da quasi tredici anni, ma alla quale è stata data la possibilità di difendersi solo dallo scorso ottobre, data d’inizio del processo. Come e perché Isabella abbia ucciso Denis non è ancora oggetto di dibattimento. La Procura ha preferito partire dalla natura del suo rapporto sentimentale con il calciatore. I testimoni di ieri si inserivano proprio in questo solco.

LA LUPARA DELLA DOTTORESSA

Roberta Sacchi è la fisioterapista di Pavia che aiuta Denis a guarire dalla brutta frattura che lo tiene lontano dai campi da gioco da gennaio ad aprile del 1989. «Mi parlò subito di Isabella, di come lei lo cercava ossessivamente, che se la trovava dappertutto, ma che per lui era diventata come una sorella. Se accettava di stare con lei era solo perché si dispiaceva a vederla così». La dottoressa pavese lo dichiara solo nel 2018, ventinove anni dopo i fatti, e lo ribadisce ieri in aula. «Attento alle lupare» dice a Bergamini nell’aprile di quell’anno, quando il calciatore – con cui nel frattempo ha un flirt – le ribadisce di essersi allontanato dalla Internò.

«I tempi sono cambiati anche al Sud» le risponde lui, ma poi il 12 novembre, sei giorni prima di morire, le confida: «Sai che avevi ragione? Da quelle parti i tempi non sono cambiati». La Sacchi ne parla solo nel 2018 dopo aver consultato alcuni appunti dell’epoca, una sorta di diario in cui annotava i fatti per lei più interessanti. «Le agendine però sono andate smarrite in un trasloco».

L’ABORTO E L’ONORE

Guido Dalle Vacche è il cognato di Bergamini e con la sua testimonianza si torna a parlare dell’aborto affrontato da Isabella a luglio del 1987, quando la ragazza era ancora minorenne. Per la Procura è uno dei possibili moventi dell’omicidio. «Denis mi disse: io non la sposo, al più riconosco il bambino, ma a patto che sia davvero figlio mio».

Delle Vacche viene sentito dagli investigatori nel 1989 e non riferisce nulla di tutto ciò. In quell’anno, diversi compagni di squadra parlano di un Bergamini tormentato da una relazione che la Internò ha avuto con un altro calciatore, addirittura prima del suo arrivo a Cosenza. Nessuno parla della gelosia di Isabella. Quella salterà fuori dai loro ricordi solo a partire dal 2010, e da allora anche suo cognato racconta come nel 1987 Denis arrivi a dubitare platealmente della fedeltà di quella ragazza, decidendo però di restarle al fianco negli anni successivi.

«Fino al novembre del 1988» suggerisce Guido, «luglio 1989» aveva detto in precedenza il portiere Luigi Simoni, il miglior amico di Denis, ma è un’asticella che ognuno muove avanti e indietro nel tempo a proprio piacimento. «Isabella mi sembrò pure d’accordo a non tenere il bambino perché una ragazza madre al Sud sarebbe stata un disonore per la famiglia» aggiunge l’ex marito di Donata Bergamini, aprendo così una finestra sul movente che due anni dopo – perché attendere così tanto? – avrebbe determinato la ragazza a trasformarsi in assassina in società con suoi congiunti non meglio precisati. «Domizio – il papà di Bergamini, ndr – lo capì subito che nell’omicidio non c’entravano la droga, il totonero e la criminalità, ma che c’entrava la famiglia Internò».

LE LACRIME DI CANEO

L’ex centrocampista di Pisa, Genoa e Cosenza, oggi 65enne allenatore della Turris, avrebbe voluto essere sentito subito per tornare al lavoro. D’Alessio lo rintuzza in modo brusco: «Quello che stiamo facendo qui mi sembra più importante». Attenderà sbuffando il suo turno e, una volta preso posto sulla scomoda sedia, precisa di non essere stato amico di Denis, ma «legato a lui solo da ottimi rapporti di spogliatoio». Nel 2018 anche Caneo si lascia andare davanti al magistrato e spiega di aver appreso da Denis che la Internò con lui «era come un martello», ma ieri ha precisato che non si trattava di confidenze raccolte di persona, ma solo «voci di spogliatoio». 

L’emozione ha il sopravvento quando gli viene chiesto di rievocare il momento in cui lui e gli altri calciatori apprendono della morte del loro compagno di squadra. Caneo piange a dirotto e da quel momento in poi agita il vessillo della Verità condivisa: «Lui amava vivere».

L’INCURSIONE DI MORRA

L’ultimo acuto, prima del rinvio dei lavori al 25 febbraio, lo regala il senatore Nicola Morra che fa capolino in aula e in una pausa dell’udienza si intrattiene in conversazione con l’avvocato Fabio Anselmo, il patrono di parte civile.

Pugliese insorge e il presidente della commissione Antimafia con scorta al seguito alza il dito per chiedere la parola. Permesso negato dal presidente della Corte d’assise, ma le ragioni del suo blitz in tribunale le spiegherà in seguito a noi: «Dovevo solo presentare ad Anselmo un suo potenziale cliente, un siciliano che mi ha chiesto di poter parlare con lui. E invece di farlo andare fino a Ferrara, ci siamo dati appuntamento a Cosenza, considerato che oggi l’avvocato sarebbe stato qui». Nessuna ombra ulteriore, dunque. Che di quelle ne aleggiano già abbastanza.

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