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Il procuratore Mario Spagnuolo

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COSENZA – Farmaci a base di oppiacei come il famigerato “Fentanyl”, riservati a malati terminali ma prescritti in modo allegro a tossicodipendenti che, dopo averli acquistati in farmacia, li utilizzavano come surrogati di eroina e cocaina. È il tema dell’inchiesta che a settembre del 2019 getta ombre pesanti su un medico di base e alcuni farmacisti della città che finiscono sotto accusa per prescrizioni abusive in concorso, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, truffa aggravata e falsità ideologica.

Ora, a tre anni di distanza, il processo innescato da quei fatti è giunto a conclusione con le richieste di condanna a carico delle persone coinvolte. Pene severe quelle invocate dal pm Margherita Saccà, sia per i consumatori che per i professionisti coinvolti.

Nel primo gruppo rientrano Chirillo (otto anni e mezzo), Gagliano (sette anni e un mese), Belmonte (cinque anni e cinque mesi) e Scarpelli (cinque anni e tre mesi); nel secondo i farmacisti Pugliano e i fratelli Carnovale che rischiano sette anni di carcere con l’aggiunta di 75mila euro di multa ciascuno.

«Un processo storico, almeno per quanto riguarda la città di Cosenza» lo ha definito la Saccà, che ha ripercorso un po’ tutte le tappe dell’inchiesta, partendo dal ruolo chiave giocato in questa vicenda da colui il quale prescriveva materialmente le ricette, un medico di base uscito in anticipo dal processo con un patteggiamento.

Gran parte dei riflettori, però, erano puntati sui farmacisti, e sul punto a dare manforte in aula al pubblico ministero c’era il procuratore Mario Spagnuolo in persona. «Non lo hanno fatto per colpa, superficialità o trascuratezza, ma una scelta deliberata: l’arricchimento». Si tratta, infatti, di farmaci costosi coperti però dal Servizio sanitario nazionale. Nel caso di specie, gli inquirenti ritengono che la Farmacia presso la quale si era registrato il grosso delle vendite illegali, abbia incassato 223mila euro.

«Tutto questo vale la vita di Broccolo Gian Matteo?» ha aggiunto Spagnuolo, ricordando uno dei consumatori deceduto a indagini ancora in corso. Il capo della Procura cosentina ha parlato per circa mezz’ora, rivendicando come la tutela del diritto alla salute degli individui sia «un obiettivo principale e assoluto» del suo ufficio e, ripercorrendo sentenze e codici di deontologia con un occhio alla Costituzione ha evidenziato tutti i «principi» che, a suo avviso, gli imputati hanno violato. Di diverso avviso l’avvocato Raffaele Brescia che ha inaugurato la fase delle discussioni difensive. La sua arringa a sostegno delle ragioni di Pugliano e Carnovale era tesa a rivendicare la legittimità delle loro condotte, a partire proprio dalla vendita di quei medicinali. «Non toccava a loro sindacare sulla falsità o meno di quelle prescrizioni» ha evidenziato Brescia, ricordando come i suoi assistiti comunicassero con cadenza mensile all’Asp i dati di vendita di quei prodotti e la relativa assegnazione ai soggetti richiedenti. A ciò si aggiunge anche un perizia redatta da un consulente della difesa sulla scorta delle fatture incriminate. Stando a quei risultati, i farmacisti avrebbero incassato solo poche migliaia di euro, il grosso sarebbe finito invece nelle casse delle case farmaceutiche. Il processo riprenderà il 7 giugno con le arringhe degli altri avvocati difensori (Maria Giuseppina Torchia, Nicoletta Grandinetti, Stefano Gambaro e Claudio Nigro) e dopo eventuali repliche da parte dell’accusa, il pallino passerà al giudice Iole Vigna per la pronuncia della sentenza di primo grado.

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