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Il Tribunale di Cosenza

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COSENZA – Si è chiusa con una serie di condanne la prima parte del processo sul business di farmaci a base di ossicodone, prescritti e poi rivenduti abusivamente a tossicodipendenti che li utilizzavano come surrogati di eroina e cocaina. L’inchiesta, condotta dalla Procura di Cosenza nel 2019 e denominata “Ricettopoli”, aveva svelato come, con la complicità di un medico di base – uscito di scena in anticipo a seguito di un patteggiamento –, alcuni farmacisti della città dispensassero i medicinali oppiacei, riservati in realtà a malati terminali, anche a gente comune: le accuse a loro carico erano di prescrizioni abusive in concorso, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, truffa aggravata e falsità ideologica.

Sette i soggetti, tra professionisti e assuntori, per i quali il pm Margherita Saccà aveva invocato pene molto severe: otto anni e mezzo per Giuseppe Chirillo, sette anni e un mese per Andrea Gagliano, cinque anni e cinque mesi per Aquilina Belmonte, cinque anni e tre mesi per Antonio Scarpelli; sette anni erano stati richiesti, invece, per i farmacisti Angela Pugliano e per i fratelli Pasquale e Giuseppe Carnovale, con l’aggiunta di 75mila euro di multa ciascuno.

LE CONDANNE

Davanti al giudice Iole Vigna, ieri mattina il pm Saccà ha replicato alle arringhe difensive formulate dai legali della difesa, ribadendo la tesi accusatoria nei confronti dei tre farmacisti e degli altri imputati. Al termine dell’udienza, il Tribunale monocratico di Cosenza ha condannato in primo grado i farmacisti cosentini Pugliano (assolta per due capi d’accusa), e i due Carnovale, rispettivamente a quattro anni e 10 mesi di reclusione, Giuseppe Chirillo a quattro anni e 10 mesi di reclusione, Aquilina Belmonte e Antonio Scarpelli a quattro anni e otto mesi di reclusione, e Andrea Gagliano a due anni di reclusione.

Il collegio difensivo era composto dagli avvocati Raffaele Brescia, Maria Giuseppina Torchia, Pasquale Vaccaro, Nicoletta Grandinetti, Stefano Gambaro e Claudio Nigro.

Regge, pertanto, almeno in primo grado, l’impianto accusatorio messo in piedi dalla Procura bruzia. «Non lo hanno fatto per colpa, superficialità o trascuratezza, ma per una scelta deliberata: l’arricchimento», così si esprimeva il procuratore capo di Cosenza, Mario Spagnuolo, riferendosi alla condotta degli imputati, a margine di un’udienza alla quale egli stesso aveva partecipato in veste di pubblico ministero.

Si tratta, infatti, di farmaci molto costosi coperti però dal Servizio sanitario nazionale. Nel caso di specie, gli inquirenti ritenevano che la Farmacia presso la quale si era registrato il grosso delle vendite illegali avesse incassato una cifra pari a 223mila euro. Di tutt’altro avviso, invece, i rappresentanti della difesa, che fino alla fine hanno sostenuto la tesi secondo cui «non toccava a loro (ai farmacisti, ndr) sindacare sulla falsità o meno di quelle prescrizioni».

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