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La Dda deposita i verbali dell’ex padrino Roberto Porcaro che racconta la sua ascesa criminale, il legame con il Crimine di Rosarno e il presunto ruolo di Manna

COSENZA – «Il mio percorso criminale comincia tra il 2004-2005 allorquando frequentavo il quartiere San Vito, accompagnandomi ad Osvaldo Cicero, figlio di Domenico, in quel periodo detenuto». Dalla dote di “sgarro” fino a quella di “cavaliere di Cristo”, la scalata criminale del pentito Roberto Porcaro ai vertici della ‘ndrangheta cosentina è racchiusa nei verbali, in parte omissati, che i pm della Dda Corrado Cubellotti, Vito Valerio e Vincenzo Capomolla hanno depositato – insieme ad un altro verbale reso dall’ex collaboratore di giustizia Danilo Turboli – agli atti del procedimento “Reset”, di cui ieri, 23 giugno 2023 si è celebrata la seconda parte dell’udienza preliminare, presieduta dal gup Fabiana Giacchetti, nell’aula bunker di Lamezia Terme.

L’AFFILIAZIONE ALLA ‘NDRANGHETA DI ROBERTO PORCARO E L’ASCESA CRIMINALE CON L’ACQUISIZIONE DELLE “DOTI”

I primi “lavori” per conto di Cicero come addetto alla sua sicurezza e come parcheggiatore presso la discoteca “Corte dei Miracoli”. Poi lo spaccio, l’arresto nel 2008 prima (“Operazione Anaconda”), nel 2011 poi, nell’ambito del blitz “Terminator”, e nel mezzo la latitanza. Ma è tra il 2012 e il 2013, nel carcere di Cosenza che “Robertino” partecipa per la prima volta ai discorsi di affiliazione e al progetto di riapertura del locale di ‘ndrangheta a Cosenza. «Umberto Di Puppo riportava l’intenzione, a lui riferita da Michele Di Puppo, di formalizzare questo locale a Cosenza. Durante questa detenzione – racconta agli investigatori – ho ricevuto da Mario Gatto la dote dello “sgarro”».

«Mi ha affiliato recitandomi la formula “in nome di Minofrio mi sprizzo e mi sgarro e Santa Annunziata distaccata è formata società di sgarro”. Sono stato quindi rimandato in cella dove Tonino Presta mi ha segnato con una lametta, imprimendomi il segno della croce sul pollice destro. Poi, Mario Gatto mi ha consegnato alcuni foglietti con la copiata dove era riportato come capo società Franco Muto». Nel 2013, sempre dentro al carcere di Cosenza, è la volta delle doti di “santa” e “vangelo”, conferitegli da Francesco Patitucci. Per lui Porcaro riferisce di aver già all’epoca compiuto “quella gambizzazione”.

L’ASCESA CRIMINALE DI ROBERTO PORCARO E IL LEGAME CON LE ‘NDRINE DEL REGGINO

«Per la dote della “santa” – spiega – , mi è stato impresso un punto con uno spillo sull’anulare destro. La copiata riportava i nomi di Lamari, Zoccali e Morabito, tutti referenti del Crimine reggino». Un legame, quello con la ‘ndrangheta reggina, che ricorrerà sempre. Questo perché, rivela Porcaro, «a partire dalla “santa” possono essere indicati, per quanto riguarda noi cosentini che in assenza di formale locale ci appoggiamo a Rosarno, solo esponenti criminali reggini. Questo collegamento criminale con Rosarno – precisa – è stato avviato attraverso Michele Di Puppo, che aveva conosciuto in carcere Michele Oppedisano». Poi ancora, le doti del “tre quartino” e “quartino”, “stella”, “crociata”, “mammasantissima” e, infine, di “cavaliere di Cristo” col benestare di Michele Oppedisano e del locale di Rosarno.

L’OMICIDIO DI LUCA BRUNI

Porcaro affronta poi l’argomento dell’omicidio di Luca Bruni, consumato nel 2012. Con riferimento al suo coinvolgimento e a quello di Patitucci, il pentito ammette di aver partecipato «all’unica riunione a casa di Maurizio Rango nell’ottobre del 2011». Ma di non aver «proferito alcuna considerazione in merito alla decisione per uccidere Luca Bruni. Diversamente – si legge tra gli omissis -, per come riferitomi da Patitucci, la riunione definitiva si è tenuta nel novembre del 2011 in un’abitazione di Rende. Hanno partecipato Ettore Lanzino, da latitante, Francesco Patitucci, Maurizio Rango e Franco Bruzzese».

IL RUOLO DI MANNA

Sempre a proposito dell’omicidio Bruni, il collaboratore chiama in causa Marcello Manna, sindaco sospeso di Rende. Dichiara di aver consegnato personalmente nelle mani di un avvocato 30mila euro: somma, questa, destinata ad “aggiustare” il processo a carico di Patitucci. «Successivamente sono stato presso lo studio dell’avvocato Manna – va avanti Porcaro -. Mi ha detto che sapeva già tutto, invitandomi a parlare di altro e dicendo la frase “che con il dottor Petrini ci abbiamo fatto fortuna”».

«Abbiamo continuato a parlare dell’altro processo che riguardava Patitucci, ossia quello relativo al duplice omicidio Lenti-Gigliotti» e «della strategia processuale di far dichiarare a Ruà Gianfranco e Bruni Gianfranco, già definitivamente condannati all’ergastolo per altri fatti, la loro responsabilità anche con riferimento al duplice omicidio Lenti-Gigliotti, escludendo la responsabilità di Patitucci, con l’obiettivo duplice di determinare l’assoluzione del Patitucci nel processo e di mostrare l’avvio di una rivisitazione critica da parte del Ruà e del Bruni che avrebbe consentito agli stessi di accedere ai benefici penitenziari».

ACCOLTE LE RICHIESTE DI COSTITUZIONE DELLE PARTI CIVILI

Nel corso della maxi-udienza, terminata come la volta precedente a tarda sera, del processo che vede alla sbarra 245 imputati ritenuti attigui alla confederazione di ‘ndrangheta del Cosentino, è da registrare l’assenso del gup alla costituzione di parte civile dei Comuni di Cosenza e Rende. Mentre, in conclusione della seduta, il boss Francesco Patitucci ha inteso rendere dichiarazioni spontanee negando l’esistenza di qualsiasi confederazione di ‘ndrangheta: «Ho solo cercato di mettere pace tra il clan degli zingari e quelli di Cosenza, i pentiti mentono», ha detto. Si torna in aula il 28 giugno.

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