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La Questura di Cosenza

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COSENZA – Diciassette persone sono state arrestate stamane dalla Polizia di Stato che ha eseguito un provvedimento restrittivo emesso dal Gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di persone appartenenti o vicine al clan di ‘ndrangheta dei Forastefano, operante a Cassano Ionio e in tutta la Sibaritide, dedito alle estorsioni e all’intestazione fittizia di beni.

I reati contestati alle persone coinvolte nell’operazione denominata “Kossa” sono, a vario titolo, associazione per delinquere di stampo mafioso, riciclaggio di denaro, estorsione e intestazione fittizia di beni. Gli agenti stanno anche eseguendo alcuni sequestri di società e imprese.

LEGGI I NOMI E I RUOLI DELLE PERSONE ARRESTATE

Le indagini nei confronti della cosca di ‘ndrangheta Forastefano sono durate tre anni e sono state condotte dalla squadra mobile di Cosenza, guidata dal vicequestore Fabio Catalano e dal Servizio centrale operativo della polizia, e dirette dal procuratore Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dal pm antimafia Alessandro Riello.

Le persone finite in carcere sono 10, mentre altre 7 sono state poste ai domiciliari. Tra le persone coinvolte nell’inchiesta anche un commercialista ed un noto avvocato della zona.

Sono stati ricostruiti, attraverso dichiarazioni e intercettazioni, diversi episodi estorsivi e intimidatori. In particolare, le vessazioni subite dal titolare di una azienda di trasporti che è stato spogliato dei mezzi e sostituito nei rapporti che aveva con un’altra azienda a beneficio di una impresa controllata dalla cosca.

«Il sodalizio – ha spiegato Catalano – condizionava tutta l’economia della Sibaritide arrivando ad imporre le proprie ditte di autotrasporto e di prodotti ortofrutticoli con estorsioni, intimidazioni e attività di intestazione fittizia di beni a soggetti compiacenti. Erano anche specializzati in truffe in danno dell’Inps, che attuavano attraverso le indennità percepite per il tramite di braccianti agricoli fittiziamente reclutati, ma mai realmente impegnati nei lavori».

Inoltre, eseguiti provvedimenti di sequestro tra imprese e mezzi, per un valore di oltre dieci milioni di euro.

I dettagli dell’operazione sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa, alla presenza del procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, del procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, nonché del direttore centrale anticrimine prefetto Francesco Messina e del direttore del servizio centrale operativo della Polizia di Stato Fausto Lamparelli.

Secondo quanto emerge dall’ordinanza, l’associazione, «che si è inserita nel settore imprenditoriale di tutta l’area della piana di Sibari ed in particolare nel settore agricolo, nel settore della distribuzione di prodotti dell’agricoltura e degli autotrasporti, con la costituzione di alcune imprese che hanno assunto posizioni di vantaggio, che sono state costituite e sono finanziate col provento dei crimini organizzati ed eseguiti dall’associazione che occupa, che reimpiega in esse i proventi derivanti dalle attività illecite a cui essa è dedita».

L’indagine ha ricostruito l’operatività della cosca che, dopo le inchieste del 2008, si era rigenerata penetrando nel tessuto economico della Sibaritide, ed in particolare nel settore agroalimentare e in quello dei trasporti avvalendosi della forza dell’intimidazione tipica dell’associazione mafiosa. Vittime del sodalizio gli imprenditori dell’agroalimentare. Tra queste anche un’azienda con sede nella provincia di Ferrara, di livello europeo, che opera nel campo della commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli, il cui rappresentante legale, con riferimento alle attività avviate nella Sibaritide, è risultato vittima di una lunga serie di vessazioni.

Le mire imprenditoriali, secondo le indagini, si sono estese anche al settore degli autotrasporti, monopolizzato grazie a un “cartello” di ditte riconducibili, direttamente o indirettamente, al clan e votato all’acquisizione, spesso con la forza, delle commesse di altri operatori del settore. Un controllo asfissiante e totale del tessuto sociale ed economico della zona, reso possibile anche dalla pax mafiosa stipulata con gli storici rivali con i quali si sono in passato contrapposti per il controllo criminale.

Gratteri: «Professionisti proni alla mafia»

«La ‘ndrangheta che si evolve ha bisogno del mondo delle professioni, che a loro volta hanno abbassato di molto l’etica e la morale in nome del Dio denaro, è prona ai servigi all’imprenditoria mafiosa». Così il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, incontrando i giornalisti, ha commentato l’operazione “Kossa” (dall’antica denominazione di Cassano allo Ionio).

«E’ stata – ha aggiunto Gratteri – un’attività investigativa difficile, strutturata, che non ha il supporto di alcun collaboratore di giustizia, ma abbiamo deciso di investire più uomini e mezzi perché si tratta di una famiglia di ‘ndrangheta che aveva l’ossessione del controllo del territorio, non solo sul piano fisico , ma anche economico. Si tratta di famiglie di ‘ndrangheta che hanno un pedigree di ferocia, perché queste famiglie hanno insanguinato per anni interi ambiti e territori della provincia di Cosenza».

«La ‘ndrangheta – ha aggiunto Francesco Messina, direttore centrale anticrimine – va combattuta in Calabria, cioè dove il fenomeno è endemico perché è da qui che deve partire un’azione di neutralizzazione del problema. Dobbiamo colpire l’organizzazione nel territorio in cui essa è forte, in cui manifesta militarmente il suo potere, per arrivare a neutralizzarla anche altrove. Attraverso azioni di repressione forte recuperiamo spazi che lo Stato, anche con il supporto delle istituzioni, deve rioccupare per favorire la rinascita della legalità».

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