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Don Gino Luberto (1936-2022)

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di CESARE PERROTTA

Ciao don Gino!  Oggi come in quel lontano 1975 rivolgermi a te con il “don”, nonostante i tuoi ripetuti inviti ad abolirlo, è un segno di rispetto alla tua persona, come si fa con un padre al quale non si da mai del tu per l’autorevolezza che essa rappresenta, necessaria alla crescita di un figlio come di una figlia.  

Già poiché non solo per i miei 14 anni di allora, ma per tanti miei coetanei di quel tempo e per  tantissime generazioni successive, la tua persona è stata simile a quella di un padre autorevole,  mai autoreferenziale, generoso, sincero, chiaro, spontaneo, semplice, autenticamente libero,  pronto al richiamo (“sì na capi ‘mbrella” o “i cimentu” secondo le circostanze) come all’arte  dell’incoraggiamento, al fine di porti – forse anche inconsapevolmente – quale modello per i tanti  bambini/e, ragazzi/e, giovani e adulti che, entusiasticamente, sei stato capace di attrarre a te,  offrendo a ciascuno l’opportunità di esprimersi al meglio delle risorse possedute, sostenendole  negli immancabili momenti di crisi.  

Ma sei stato anche madre nella tua instancabile opera generatrice di cose nuove: gruppi,  movimenti, associazioni, famiglie, così come nella chiesa (non solo quella fisica) nella tua  lungimirante azione di ristrutturazione dei consigli pastorali, agendo sullo sfondo di quell’idea di  “comunità della comunità” non affidata al caso quanto ad un progetto parrocchiale: il più  partecipato possibile, offrendo spazi di ascolto e inserimento per tutti, accanto a un crescendo e  un continuum di attività formative.  Un’opera genitoriale la tua, di padre e madre, di cui la comunità di Castrolibero – non solo  ecclesiale – ha goduto per tanti anni anche dopo il tuo “lasciare andare” nel marzo del 1992, e di  cui lo scautismo giovanile, prima, e quello adulto, dopo, ne rappresentano ancora una chiara  testimonianza, anche per coloro oggi non più attivamente impegnati nelle due associazioni.  

Poco meno di 18 anni accanto a te possono raccontare di un numero pressoché infinito di vissuti  (inter)personali abili a tracciare le tappe di una crescita ancora in divenire, così come mi hai  insegnato, attenta ai particolari (col “mititicchio”), soprattutto per quel che concerne le relazioni:  con ciò che apre all’Altro nella sua diversità, anche di pensiero, facendo dell’ascolto un’arte,  restituendomi un esempio di chiesa spirituale più vicina alle persone, a quelle più vulnerabili e  fragili in particolare.  In quest’azione ho ritrovato più la tua persona che il sacerdote, il profeta più che il prete, anche  nei tuoi momenti di difficoltà e di debolezza, come di sofferenza: un modello simile a quel Gesù  che, con semplicità, sapevi narrare e rappresentare, oltre ogni dottrina male interpretata,  proposta e passivamente subita. Qualità che, oggi come allora, attribuisco alla tua vocazione adulta. A quel “lasciare andare” tante sicurezze per affidarti, non senza determinazione e  caparbietà, alla speranza: all’arte, dalla sua etimologia, di farsi strada, “via”, per la promozione di  quel bene comune “qui e ora” (“sarò con voi per sempre”) che erroneamente chiamiamo paradiso.  

Di tutto ciò continuo a ringraziarti e con me, immagino, quanti hanno goduto della tua presenza  che, sebbene nel dolore della tua morte, possono gioire dell’averti avuto accanto, così che oggi, mi  piace ancora immaginare, ci si possa scambiare un fraterno saluto di cordoglio condiviso con  quello dei tuoi familiari.  Infine, facendo memoria dei tuoi problemi di vista, non ti ci vedo (e non mi piace nemmeno l’idea)  a spasso nella ricerca della casa del Padre, quanto spiritualmente vivo dentro di me – ogni uomo è  tempio e dimora di Dio – capace ancora di “animare” i miei passi, la mia speranza, nel ricordo della  tua presenza.  

Ciao don Gino! tuo Cesare   

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