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Cristina Vercillo, caporedattore del Quotidiano, scomparsa a 59 anni

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CON Cristina Vercillo il giornalismo perde un pezzo pregiato di bravura e di umiltà (due doti che non sempre convivono nella stessa persona). Ed è straziante che se ne possa parlare e scrivere solo nel giorno della sua prematura scomparsa, perché, fino a quando il male crudele non l’ha colpita abbattendone la resistenza, lei lo avrebbe impedito. Come mi impedì con inflessibile fermezza, quando la scelsi per assumere il ruolo di caporedattore del Quotidiano della Calabria, di rivelare la singolare coincidenza (scoperta poi casualmente) che lei era nata lo stesso giorno in cui è nata mia figlia Monica (che però si è conquistato un ruolo in tutt’altro campo: il cinema, la televisione e il teatro).

Temeva che la mia scelta potesse essere interpretata dai colleghi come una decisione influenzata da questa coincidenza e non – come invece, ovviamente, era – una scelta nata esclusivamente e rigorosamente da una scrupolosa valutazione professionale. Una scelta nata da una improvvisa ma provvidenziale necessità quando il precedente titolare del ruolo era passato ad altra impresa editoriale. Di Cristina mi avevano colpito, tra gli altri, due elementi: oltre al curriculum (esperienza di borsista a Radio-Rai prima di essere approdata al Quotidiano per scelta del mio bravo predecessore Pantaleone Sergi), la versatilità dimostrata nel trattare, da redattrice, gli argomenti più disparati con meticolosa competenza, dalla cronaca all’inchiesta, dalla cultura all’economia, ma soprattutto il rigore nella ricerca e nella trasmissione al lettore in forma scorrevole degli argomenti affrontati in alcune inchieste sul territorio. Il tutto affrontato senza risparmiarsi nell’impiego di tempo ed energie nella organizzazione della impostazione grafica delle pagine.

Nei miei quasi 50 anni di professione – e di direzione di quotidiani prima di arrivare, nel dicembre del 1996, ormai da pensionato, alla direzione del «Quotidiano della Calabria» – avevo conosciuto pochi giornalisti con la caparbia capacità e versatilità di Cristina. Avevo capito di poter fare leva sulle sue capacità per svolgere il mio ruolo. Che doveva essere di breve durata («3 o 4 mesi, lo imposti alla maniera degli altri giornali del nostro Gruppo che hai diretto, lo rilanci e poi riprendi la tua vita da pensionato e noi subentriamo come Gruppo Espresso – mi aveva garantito il principe Carlo Caracciolo, fondatore ed editore dell’Espresso, di Repubblica, e di una catena di importanti quotidiani regionali). Avevo conosciuto in passato pochi altri giornalisti con la capacità di tenuta professionale dimostrata da Cristina, necessaria per consentire ad uno come me, di compiere la missione professionale affidatami dal principe senza lacerare i rapporti familiari. E così è accaduto fino al marzo del 2007, quando l’editore del «Quotidiano» Francesco Dodaro mi propose di tentare l’avventura editoriale del Quotidiano della sera a Roma, purtroppo compromessa da una impropria strategia diffusionale, destinata a vita breve nel periodo in cui ai semafori di Roma imperversavano gli strilloni che distribuivano giornali gratuiti.

Ma anche allora, e poi negli anni a seguire, fino qualche giorno fa, non ho mai perduto i contatti telefonici quasi quotidiani con Cristina: mi chiedeva consigli, sfogava malumori, mi manifestava entusiasmi professionali e delusioni, sofferenze per aver dovuto rinunciare alla sua passione per la musica, commenti su letture occasionali, ma anche alcune delusioni professionali. Poi, negli ultimi mesi, hanno preso il sopravvento i racconti angoscianti del male crudele che l’aveva aggredita, di fronte al quale le mie parole di conforto, i miei sms che pretendevano di essere rassicuranti, talvolta, giustamente, la irritavano, anche se con la sua innata generosità mi ringraziava. Da tre giorni non rispondeva in voce alle mie telefonate e ai miei sms. L’ultimo diceva: «Non posso più parlare!». Io ho solo finto con me stesso, vigliaccamente, di non capire.

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