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Il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti ha conquistato il pubblico del Cineteatro Garden di Rende con il suo intervento provocatorio e illuminante intitolato “L’illusione della libertà”.


RENDE (COSENZA) – Il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti ha conquistato il pubblico del Cineteatro Garden di Rende con il suo intervento provocatorio e illuminante intitolato “L’illusione della libertà“. Un appuntamento del Rende Teatro Festival, diretto da Alfredo De Luca, che ha messo in discussione la nostra idea di libertà, rivelandone le contraddizioni e le insidie celate nella società contemporanea.

Umberto Galimberti e “L’illusione della libertà”: l’età della tecnica

«Nell’età della tecnica non siamo liberi», ha dichiarato con fermezza il giornalista de “La Repubblica”. La tecnica non è un ambito riservato agli ingegneri; è, piuttosto, un paradigma culturale che plasma le nostre abitudini, i nostri rapporti sociali e il nostro modo di esistere nel mondo.

A questa considerazione si aggiunge un’altra consapevolezza emersa in questo secolo: la genetica. Essa non si limita a descrivere il nostro corredo biologico, ma prefigura il nostro destino, stabilendo con quali probabilità e di quali malattie ci ammaleremo. Se la libertà presuppone autodeterminazione, la genetica sembra negarla, vincolandoci a un codice inscritto nel nostro stesso corpo. Eppure, esiste un fattore ancora più stringente: l’ambiente. Se la genetica traccia delle possibilità, l’ambiente le concretizza, modellando il nostro modo di pensare, di reagire, di scegliere. Siamo il risultato delle nostre esperienze, dell’educazione ricevuta, del contesto in cui siamo cresciuti. Più della genetica, è l’ambiente a determinare chi siamo. Dove si colloca, allora, la libertà? L’idea stessa di una volontà autonoma si scontra con un conflitto profondo tra libertà e identità.

Galimberti analizza l’idea di libertà e il concetto di democrazia

«Esiste l’idea di libertà, ed è proprio per questo che dobbiamo aver cura delle idee, sottoporle a critica. Questo è l’esercizio del pensiero», recita la nota di presentazione dell’incontro. Umberto Galimberti ha parlato di democrazia evidenziando che essa non si riduce al solo diritto di voto, ma si realizza attraverso azioni concrete, in particolare attraverso la costruzione di asili per emancipare le donne, garantendo borse di studio a chi ha talento ma non risorse, assicurando una sanità pubblica efficiente e classi scolastiche ridotte per un’educazione più attenta ai bisogni emotivi dei ragazzi. «Questo vuol dire democrazia. Una volta che l’abbiamo persa non ce la regala più nessuno». L’intellettuale ha poi ricordato le conquiste degli anni ’70 e ’80 – dal divorzio all’aborto– oggi minacciate da una società che sembra dimenticare il valore delle battaglie passate.

L’età della tecnica paragonata alla logica del nazismo

Nel cuore del suo intervento, Galimberti ha evidenziato come la tecnoscienza stia ridefinendo il concetto di libertà, svuotandolo di significato. «La nostra capacità di fare supera di gran lunga la nostra capacità di prevedere le conseguenze di ciò che facciamo», ha spiegato, precisando come la società moderna si muova “a mosca cieca” in un progresso tecnologico che non tiene conto delle implicazioni etiche. Non a caso, ha paragonato l’età della tecnica alla logica del nazismo, dove il singolo non agisce in base alla propria etica, ma esegue compiti prescritti da un apparato, perdendo così ogni senso di responsabilità. A tal proposito, lo psicanalista ha citato il caso di Franz Stangl, direttore del campo di sterminio di Treblinka.

Questo esempio estremo mostra con lucidità il rischio insito nella logica della tecnica: l’annullamento della responsabilità individuale. Franz Stangl, nelle settanta interviste rilasciate a Gitta Sereny (raccolte nel volume “In quelle tenebre”, edito da Adelphi), non riusciva a rispondere alla domanda su cosa provasse nel compiere le sue azioni. Non per cinismo o per volontà di eludere la questione, ma perché per lui la domanda stessa era priva di senso: il suo compito non era “provare” qualcosa, ma far funzionare il sistema.

In un apparato tecnico perfettamente organizzato, chi vi opera non si interroga più sulle conseguenze morali delle proprie azioni, ma si limita a eseguire compiti funzionali alla macchina di cui fa parte. La logica della tecnica separa mezzi e fini: il singolo non è più responsabile dello scopo ultimo del proprio operato, ma solo della sua esecuzione.

Stangl non si percepiva come un carnefice, bensì come un ingranaggio di un meccanismo più grande, spersonalizzato e svuotato di responsabilità individuale. E in questo si cela l’aspetto più inquietante della tecnica moderna: la capacità di trasformare anche il male assoluto in un semplice problema di efficienza. Un monito che va oltre la storia e che ci riguarda da vicino: quanto, oggi, nelle nostre società ipertecnologiche, stiamo diventando anche noi esecutori senza coscienza?

Umberto Galimberti: «L’amore è davvero libero?»

Galimberti ha poi spostato il discorso su un piano più intimo, affrontando il tema dell’amore. «L’amore è davvero libero?». A ben vedere, non lo è mai stato del tutto. Un tempo erano i genitori a decidere chi sposare, e ancora oggi, in molte culture, i matrimoni sono imposti e il rifiuto può portare a conseguenze drammatiche. Per secoli, le unioni tra eredi di casate reali non erano espressioni di sentimenti autentici, ma strumenti politici per garantire alleanze strategiche e stabilità.

Oggi, ci illudiamo di scegliere liberamente chi amare. Spesso, ciò che crediamo una decisione consapevole è invece il risultato di pulsioni profonde, di dinamiche inconsce sulle quali la nostra parte razionale non ha alcun controllo. L’amore non appartiene alla logica dell’Io, cioè alla razionalità. Come sosteneva Platone: l’amore è la più eccelsa e divina delle follie.

Quando Rita Pavone cantava “Come te non c’è nessuno”, la ragione avrebbe potuto smentirla: statisticamente, ci sarebbero molte persone compatibili. Ma senza autoinganno, l’amore non esiste. Idealizziamo l’altro, lo vediamo come unico, senza renderci conto che probabilmente siamo innamorati dell’immagine che ne abbiamo costruito. Inevitabilmente, la quotidianità erode questa idealizzazione, lasciandoci di fronte alla realtà dell’altro. Amore, dolore, sogno, immaginazione: sono “elementi di disturbo” per la tecnica.

Tensione tra razionale e irrazionale

Questa tensione tra razionale e irrazionale è cruciale perché l’irrazionale è ciò che sfugge al dominio della tecnica. «Ciascuno ha una sorta di schizofrenia funzionale- ha proseguito Galimberti – cioè, da lunedì a venerdì funzioniamo come richiesto dall’apparato, sabato e domenica possiamo dedicarci alla nostra parte irrazionale. In realtà, ciascuno guarda a sé stesso come al proprio peggior nemico. E cosa fa il weekend? Prende l’auto e parte per distrarsi, anche da sé. Così dimentichiamo chi siamo».

L’inconscio tecnologico

Cosa c’è davvero oltre l’Io? Ci sono le pulsioni che scambiamo per scelte, l’inconscio sociale e funzionale che ci guida senza che ce ne accorgiamo. Ma oggi si è insinuato anche un nuovo livello: l’inconscio tecnologico: «Con i telefonini ci siamo consegnati agli altri. Non venite a dirmi che con i telefonini siete più liberi». Uno psicologo, Luciano De Gregori, ha studiato a fondo queste nuove psicopatologie digitali e trova emblematico che i nostri dispositivi si chiamino proprio come i mezzi di trasporto dei detenuti: cellulari.

Galimberti: il conflitto tragico tra libertà e identità

Galimberti ha chiuso il suo intervento con una provocazione. Siamo davvero liberi di essere chi siamo o siamo incatenati al bisogno di riconoscimento? «Il nucleo per cui dico che la libertà non esiste è perché vedo un conflitto tragico tra libertà e identità».

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