X
<
>

Piazza Duomo, Milano

Condividi:
7 minuti per la lettura

È la Lombardia la seconda regione di ‘ndrangheta in Italia. È là che boss e gregari emigrati dalla Calabria e i loro imprenditori di riferimento stanno costruendo fortune. È là che si concentra il grosso del fatturato delle ‘ndrine. Milano, Monza Brianza, Como sono le province a più alta densità mafiosa. Seguono Pavia, Varese, Lecco, poi l’area Bergamo-Brescia-Cremona-Mantova. Questa la nuova geografia mafiosa della Lombardia secondo quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata (Cross) dell’Università degli Studi di Milano, realizzata in collaborazione con Cgil Lombardia.

Un’ascesa favorita anche dal trascorso biennio della pandemia, durante il quale il 20 per cento delle aziende intervistate nel recente sondaggio della Confcommercio delle province di Milano-Lodi-Monza Brianza è stato avvicinato da qualcuno che proponeva prestiti da sconosciuti o si offriva di rilevare le imprese a prezzi inferiori da quelli di mercato.

 Si tratta del terzo studio realizzato dall’Osservatorio diretto da Nando Dalla Chiesa, che lancia anche un allarme per le possibili infiltrazioni mafiose sugli straordinari flussi di risorse che arriveranno in Lombardia col Pnrr. Il primo dossier si soffermò sul periodo successivo al 2010, anno spartiacque, dopo 60 anni di presenza mafiosa in Lombardia, per il formidabile impatto rappresentato dall’operazione Crimine Infinito condotta dalle Dda di Milano e Reggio Calabria.

Il secondo ha riguardato la presenza delle organizzazioni  criminali nell’economia legale, dall’edilizia ai grandi servizi sociali; ma anche  le modalità di diffusione e i settori di crescita delle mafie straniere.

Il terzo è caratterizzato dalla suddivisione per province, al fine di meglio evidenziare caratteristiche e tipologie di radicamento mafioso, ma soprattutto focalizza le dinamiche innescate dalla pandemia, e quindi i varchi apertisi in seguito alla profonda crisi che ha colpito il tessuto economico, con gravi ricadute soprattutto nei settori più esposti alle  misure anti-contagio come ad esempio quello della ristorazione; ma ha delineato anche l’interesse dei clan per  l’ambito sanitario, a partire dallo smaltimento di rifiuti ospedalieri, la cui produzione è aumentata a dismisura negli ultimissimi anni.

 Le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori possono essere riassunte in questi termini. ‘Ndrangheta in primis. «La minaccia mafiosa in Lombardia è soprattutto legata alla sistematica  avanzata della ‘ndrangheta. In tal senso anzi, alla luce dei fatti oggettivi, non appare affatto  arbitrario considerare ormai la Lombardia la “seconda regione di ‘ndrangheta” d’Italia. Tra le  altre criminalità mafiose si nota un ritorno, che gli inquirenti ritengono significativo, di Cosa  nostra siciliana». La nuova mappa delle cosche. «Si accentua il dinamismo mafioso sui territori delle province nord-occidentali di Varese,  Como e Lecco. La loro funzione sembra diventare via via più importante negli anni. Senz’altro  per il livello di radicamento raggiunto e la ormai conclamata stabilità delle “famiglie” calabresi  che le presidiano, con evidenti processi di ricambio generazionale. Ma anche per una nuova  funzione di cerniera operativa da esse svolta (specialmente da Varese e Como) verso la  Svizzera: meta, quest’ultima, di nuovi e rapidi spostamenti da parte dei clan, vuoi per meglio  sfuggire alla repressione sul territorio lombardo vuoi per innestare nuove “colonie” nel  complessivo tessuto della propria diffusione europea».

L’avanzata dall’Emilia alla Bassa Lombarda. «Si impone all’attenzione degli investigatori e degli analisti il ruolo dell’area sud-orientale  della regione, segnatamente di una parte consistente della provincia di Mantova, in parallelo  a una crescente (e ancora sottovalutata) vivacità della provincia di Cremona. Nei precedenti  monitoraggi era stato ricordato come il mantovano fosse rimasto fondamentalmente  estraneo per decenni ai meccanismi della penetrazione mafiosa. Ed era stato notato come  mostrasse invece, più di recente, segni di elevata permeabilità, soprattutto di fronte alla  spinta espansiva ‘ndranghetista proveniente dalle aree settentrionali dell’Emilia». La strategia dei fortini. «Va prendendo consistenza l’ipotesi che i clan dell’area sud della provincia di Milano stiano  cercando insediamenti più protetti e meno visibili in piccoli centri della provincia pavese, dove  sia per essi più facile esercitare uno stretto controllo del territorio, anche in chiave difensiva.  Si tratterebbe di un nuovo capitolo della strategia (già ricordata nei precedenti monitoraggi) di privilegiamento, da parte dei clan calabresi, dei comuni di dimensioni minori. Un capitolo  diverso, però, poiché in questo caso ci si trova davanti non a un modello di infiltrazione (a  volte casuale), ma a una ritirata strategica finalizzata a creare nuovi “fortini” meno  controllabili ed espugnabili dalle forze dell’ordine».

Ma emerge anche la resilienza delle cosche. «Colpisce anzitutto la straordinaria forza rigenerativa dei clan. Mai il concetto di  “resilienza” è apparso al gruppo di ricerca tanto appropriato. Le strutture, gli interessi mafiosi  si rimodellano di continuo di fronte alle pressioni sfavorevoli così come alle opportunità che  le vicende locali o collettive offrono loro. Non bastano interventi ripetuti e incisivi della  magistratura e delle forze dell’ordine per indurre i gruppi mafiosi a ritirarsi alla ricerca di  nicchie più circoscritte di azione. Permane la loro tendenza, anche in Lombardia, a volere  esercitare forme più o meno estese di presenza sociale e di controllo del territorio, sia pure in forma non eclatante ma avvalendosi di una violenza “a bassa intensità”. Una violenza  comunque efficace, se si guarda ai livelli di omertà e di intimidazione ancora riscontrate  diffusamente sul territorio regionale, perfino in situazioni di rovesci giudiziari di questo quel clan. I clan si ricostituiscono nelle loro gerarchie effettive e nella loro composizione attingendo a vasti retroterra familiari, di tipo “orizzontale” o generazionali. E mantenendo relazioni con  l’esterno anche dopo avere subito inchieste e condanne. Tanto che è ormai possibile parlare  in più casi di un vero e proprio radicamento. Per usare un’immagine fornita una volta a chi  scrive da un ufficiale dei carabinieri, non sembrano stare “sul territorio” ma “nel territorio”. Le ‘ndrine si identificano ormai, per diritto di giurisdizione alternativa, con il singolo paese o  la singola zona. E questo pone problemi più vasti di quelli squisitamente investigativi e  giudiziari a chi voglia contrastarli».

‘Ndrine silenti, dunque, che sparano meno e prediligono l’affarismo muovendosi sotto traccia e riuscendo così a controllare capillarmente il territorio, dai piccoli centri del profondo Nord fino alla capitale economica del Paese.

OLTRE 3600 BENI CONFISCATI NELL’AREA PIÙ AMBITA DAI CLAN

Gli immobili e le aziende in gestione confiscate alle mafie e già “destinate” ammontano ad oggi in Lombardia a 3.607, «un numero in continua crescita che dimostra tra l’altro come la Lombardia costituisca la regione del Nord più ambita dalle organizzazioni criminali», è detto nel Monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia, lo studio realizzato dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata (Cross) dell’Università degli Studi di Milano.

I ricercatori osservano che, esclusa la provincia di Milano (che conta il numero più alto di beni confiscati, 1708), il maggior numero di beni si trova in quella di Monza Brianza, e in particolare nei comuni di Desio, Seregno e Giussano, disposti a formare una fascia che parte dal nord est di Milano e si estende lungo la provincia. Nella provincia di Varese, eccetto il capoluogo che presenta un numero elevato di beni, «si può notare una importante distribuzione di beni al confine sia con la provincia di Milano sia in prossimità del confine piemontese o di quello elvetico».

Altre zone di confine della regione interessate da una forte presenza di immobili confiscati sono quelle sud-orientali di Mantova e Cremona. La maggior parte degli immobili in gestione e di quelli destinati è rappresentata da appartamenti in condomini, seguiti dalla categoria dei box, dei garage, delle autorimesse e dei posti auto. Per quanto riguarda le aziende in gestione ve ne è un numero cospicuo nel settore delle attività immobiliari, di noleggio, di  informatica, ricerca e servizi alle imprese, a cui seguono il settore delle costruzioni e quello  del commercio all’ingrosso e al dettaglio, di riparazione veicoli, beni personali, casa. Il settore  delle aziende destinate vede invece al primo posto quello delle costruzioni, seguito da  commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di veicoli, beni personali, casa e infine le attività  immobiliari, noleggio, informatica, ricerca e servizi alle imprese.

Si conferma «la naturale propensione delle organizzazioni mafiose verso attività a basso livello tecnologico e ad alta presenza di unità produttive di piccola scala, ricollegabili a un modello di distribuzione capillare sul territorio». Del resto, tra i fattori che spingono le organizzazioni criminali a investire c’è la volontà di controllare il territorio e costruirvi consenso e reputazione sociale diffusi, come avviene, ad esempio, attraverso i ristoranti, gli alberghi e i locali notturni.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE