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CATANZARO – Per la prima volta in Italia la giustizia ha condannato il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – dichiarandone la responsabilità – per il decesso di una ragazza di 17 anni che si è tolta la vita impiccandosi nel bagno della scuola.

E’ una storia che racconta Teresa Aloi sul Quotidiano prendendo spunto da una sentenza nella quale si parla di “totale omissione di qualsiasi forma di controllo e di vigilanza sulla minore”.

La sentenza è della Corte d’appello di Catanzaro ed è arrivata sei anni dopo la sentenza, anch’essa di condanna, emessa in primo grado quando, a giugno del 2009, il Miur era stato condannato ad un risarcimento di 221.562 euro.

È il 13 giugno del 1996: la ragazza esce da casa come ogni mattina, intorno alle 8. Saluta la madre per raggiungere l’Istituto magistrale statale “Vito Capialbi” di Vibo Valentia, dove frequenta la terza classe. Ma alle 8,40, non è ancora in classe. Alle 9, viene trovata impiccata all’interno del bagno della scuola, appesa con una cintura di cuoio ad un tubo dei riscaldamenti posto a circa due metri di altezza dal pavimento. È la compagna di banco ad accorgersi che lei nell’aula non è mai entrata. Chiede notizie alle altre compagne perché quel giorno, entrambe, avrebbero dovuto sostenere un’interrogazione ma nessuno – come riferirà agli investigatori durante le indagini – le dà una risposta. Poi, le urla. Arrivano dal corridoio: un’altra studentessa che frequenta una sezione diversa da quella di Carla, entra casualmente in bagno e la la trova lì. Parte la macchina dei soccorsi ma non c’è più nulla da fare.

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