Farzan Maleki
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Confronto sulla strage di Cutro fra soccorritori, giuristi e familiari delle vittime. Il contrammiraglio Alessandro: «Tragedie inevitabili dopo le restrizioni»
CROTONE – «Il naufragio di Cutro è stato uno degli incidenti in mare più strazianti degli ultimi tempi. Dopo due anni non è stato fatto nulla per aiutare le famiglie delle vittime. L’indifferenza è globale nei confronti dei migranti che si affidano al mare provenendo da Paesi in cui la vita sulla terraferma è ancora più pericolosa. Chiediamo misure concrete per un sostegno alle famiglie dei morti in mare». Si è aperto con messaggi e appelli dei familiari delle vittime della strage di Cutro il convegno organizzato dalla Rete 26 febbraio nell’ambito degli eventi promossi in occasione del secondo anniversario della tragedia. L’appello più toccante è stato, forse, quello dell’afghana Farzan Maleki, pronunciato in lingua farsi. Prima di lei erano intervenuti i suoi connazionali Sultani Abas Ghulam e Abdullah Safiullah. Tutti hanno denunciato l’assenza del Governo durante la fase dei soccorsi ma hanno ricordato la generosità dei calabresi.
«LE PERSONE IN MARE VANNO SALVATE»
Un puzzle di interventi, grazie alle pluralità delle competenze a confronto, da cui è emersa la necessità di una visione di insieme sulle procedure per i soccorsi in mare dopo le restrizioni e il “buco” di sei ore all’origine della tragedia consumatasi due anni fa. Perché non ci siano altre Cutro. «Si componga il disegno e guardiamoci negli occhi. Le persone in mare vanno salvate», ha detto, in particolare, il contrammiraglio in pensione Vittorio Alessandro.
«Spesso si misurano le tragedie in base al numero delle vittime. Lampedusa sarebbe in testa a un’ipotetica classifica. Cutro, invece, ci dimostra che non è una questione di numeri ma di persone. Certi eventi è inevitabile che accadano quando si mettono in moto meccanismi pericolosi. Ci sono voluti anni di sedimentazioni perché le norme internazionali mettessero assieme principi del soccorso in mare e diritto civile. Anni di sofferenze, paure, sangue. Ma basta che qualcuno metta granelli di sabbia in un motore che va, come quello che in Italia funzionava, perché il meccanismo si inceppi».
Il caso Cutro docet. «Non è stato un incidente – ha detto Alessandro – ma l’esito della sovrapposizione di piccole norme, granellini di sabbia, su un impianto straordinario che faceva dell’Italia un’eccellenza. Quando si tradisce un campo come quello del mare – ha aggiunto – può accadere anche per gli ospedali o le carceri, se ci si convince che gli altri siano qualcosa che non ci interessa».
AL CONVEGNO SULLA STRAGE DI CUTRO I FAMILIARI DELLE VITTIME E LE TOCCANTI TESTIMONIANZE
L’incontro si è aperto con la testimonianza del giornalista Giuseppe Pipita, direttore del bisettimanale “il Crotonese”, autore di un’interessante mostra fotografica che documenta la strage e componente della Rete. Anche lui ha detto che «nulla è cambiato» ricordando che proprio nei giorni scorsi il Tribunale di Crotone ha respinto il ricorso della ong Sos Humanity contro il fermo di una nave impegnata nei soccorsi. E ha raccontato, con commozione, l’incontro con la cugina di un bimbo morto sulla spiaggia di Steccato. Farzan, appunto.
Manuelita Scigliano, portavoce della Rete, ha ripercorso l’impegno del coordinamento che raccoglie 400 associazioni, nato per uno «slancio di umanità». E ha evidenziato che le politiche dell’immigrazione vengono gestite come una «eterna emergenza», soffermandosi sulla «confusione» che ha caratterizzato non solo i soccorsi anche la fase dell’accoglienza e dei ricongiungimenti. Per questo oggi la Rete è diventata una «piattaforma di confronto» che non si limita alla sola commemorazione. Scigliano ha quindi annunciato la stesura di un documento al termine dei panel.
Il giornalista Marco Damilano, collegato da remoto, si è soffermato sul «livello politico non oggetto di procedimento giudiziario ma di inchieste giornalistiche». Tra gli elementi che caratterizzano la vicenda, Damilano ha rilevato «complicità di apparati dello Stato che non hanno fatto il loro dovere a fronte della reazione della società civile che non si è limitata ad abbracciare i sopravvissuti ma ha preso il testimone di una battaglia che va oltre la vita delle persone che non ci sono più».
«CRIMINALIZZAZIONE» DELLE ONG E «RIBALTAMENTO DELLA LOGICA DEL DIRITTO»
Moderati da Erminisa Rizzi, dell’Associazione studi giuridici dell’immigrazione, hanno preso il via i panel “in mare” e “in terra” per un confronto fra diverse competenze. A cominciare dagli ostacoli che si sovrappongono ai soccorsi e dalla “criminalizzazione” delle ong. Juan Matias Gil (Medici Senza Frontiere) ha denunciato che «negli ultimi due anni sono state più dure le misure, e se prima si soccorrevano 5000 persone in mare ora il numero è dimezzato». Grazie ai ricorsi, alcuni fermi di navi sono stati sospesi, ma non sempre accade e in caso di rigetto bisogna approdare a migliaia di chilometri dal porto più vicino in barba al diritto internazionale. Un tema su cui ha insistito anche Maria Greco (Asociacion Intercultural Entre Mares, Canarie). Luciano Scalettari (ResQ) ha denunciato che gli eventi che fanno memoria vengono “silenziati” mentre l’attività delle ong viene «infangata attraverso costruzioni scientifiche di bugie».
Dopo il toccante intervento di Alessandro, Luca Masera (Asgi) ha parlato di quel «ribaltamento della logica del diritto che anziché tutelare i deboli li opprime» che sta alla base del decreto Cutro. «Si puniscono, inasprendo le pene agli scafisti, coloro a cui viene affidata un’imbarcazione dalle bande dei trafficanti. La finalità dell’ingiusto profitto è intesa solo come aggravante. Esemplare il caso Almasri, spettacolo osceno del diritto usato come azzeccagarbugli dal Governo nei cui confronti il torturatore avrebbe potuto fare pericolose rivelazioni».
STRAGE CUTRO, CONVEGNO CON I FAMILIARI DELLE VITTIME: «IMPORTANTE ACCERTARE RESPONSABILITÀ»
Il giurista ha fatto riferimento anche all’inchiesta sui mancati soccorsi condotta dalla Procura di Crotone, che nei prossimi giorni approderà al giuro di boa dell’udienza preliminare. «Gli imputati non sono politici ma ufficiali e sottufficiali. È stata una scelta della Procura. Il processo ha senso comunque, perché è importante accertare responsabilità a carico di esecutori della catena di comando che così si renderanno conto che quegli ordini contengono reati». Maria Greco (Asociacion Intercultural Entre Mares) ha illustrato, infine, le procedure dei soccorsi in mare sul versante atlantico.
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