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CIRO’ (CROTONE) – C’è persino l’omessa annotazione di informazioni richieste per il rilascio di un porto d’armi a Francesco Vasamì, fratello gemello di Luigi, pluripregiudicato ed esponente di spicco della cosca Farao Marincola, in cambio di alcuni carichi di legna da ardere, da parte dello stesso Francesco Vasamì, tra la sfilza di reati per cinque carabinieri della Stazione di Cirò, epicentro del “locale” di ‘ndrangheta colpito nel gennaio scorso con la mega operazione “Stige”, ripercorsi in un avviso di conclusione delle indagini.

In un altro caso, il comandante della Stazione, per sminuire la gravità del reato per cui era stata condannata un’altra persona sempre nel redigere informazioni richieste per il porto d’armi, avrebbe ottenuto in cambio cassette d’arance.

L’inchiesta è stata pubblicata oggi, in esclusiva, dal Quotidiano del Sud. Dal falso alla truffa, dalla corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio al peculato e alla rivelazione di segreti. C’è di tutto e di più in una fitta serie di capi d’imputazione – arrivano fino alla lettera “O” – a carico del maresciallo maggiore Diego Annibale e di altri quattro militari. Ma in tutto gli indagati sono sei. Il quadro che viene fuori è inquietante perché, se la ricostruzione del sostituto procuratore di Crotone Alfredo Manca venisse confermata dai successivi sviluppi giudiziari, vorrebbe dire che coloro che vengono pagati dallo Stato per tutelare i cittadini e prevenire e contrastare il crimine spesso non andavano a lavorare o ci andavano in ritardo, falsificando i memoriali così da percepire stipendi ed accessori, facendo figurare falsamente l’avvenuto controllo di persone sottoposte a misure di prevenzione, oppure andavano al ristorante anziché svolgere la loro attività istituzionale. Oppure si appropriavano dei fuochi d’artificio sequestrati. Intanto, l’Arma ha già avviato i provvedimenti del caso, trasferendo il maresciallo Ammibale e alcuni indagati presso altre sedi.

Gli indagati

Sotto accusa ci sono il maresciallo maggiore Diego Annibale, 48enne, nato a La Spezia; l’appuntato scelto Marco D’Aluisio, 42enne nato a Brindisi; il maresciallo ordinario Alessio Mutasci, 28enne nato a Taranto; l’appuntato scelto Leo Florenzo, 34enne nato a Grottaglie; il carabiniere scelto Pierpaolo Le Fosse, 35enne nato a Rossano; Michele Palmieri, 36enne di Cirò Marina.

Le truffe

Falso e truffa sono le accuse contestate al comandante Annibale che, omettendo di variare il memoriale di servizio nonostante “in numerose occasioni” – è detto nel capo d’imputazione – lo iniziasse “con molto ritardo” o lo terminasse “con molto anticipo” rispetto agli orari ufficiali, ovvero, in talune circostanze, non lo inizasse affatto, attribuendosi peraltro straordinari mai svolti, si sarebbe procurato un ingiusto profitto ai danni dello Stato. Ciò con la complicità di Mutasci, che lo avrebbe coperto e al quale sarebbe stata delegata la certificazione dei servizi mai eseguiti.

Con la complicità di D’Aluisio, invece, il comandante, pur rimanendo a casa, avrebbe fatto figurare che era impegnato in servizi perlustrativi notturni straordinari. Insieme a Florenzo, invece, il comandante avrebbe falsamente fatto figurare il controllo di persone sottoposte a misure di prevenzione. D’Aluisio, inoltre, in alcune circostanze avrebbe terminato il servizio molto prima e arbitrariamente rispetto all’orario ufficiale. E ancora, mentre Annibale e Le Fosse erano in servizio, con Mutasci, che in quel momento non lo era, ma avrebbe fatto i controlli via radio per dimostrare l’avvenuto inizio del servizio, sarebbero andati insieme a cena in un ristorante, dopo aver parcheggiato l’auto d’istituto alle spalle del locale, forse per non dare nell’occhio.

Il servizio straordinario, programmato dalle 20 alle 24, si sarebbe così svolto in sole due ore. Leo e Le Fosse in un’altra circostanza avrebbero coperto Annibale che era addirittura assente da Cirò ma figurava in servizio. In un caso a D’Aluisio il comandante avrebbe promesso quattro ore di straordinario per essere sostituito.

La corruzione

C’è poi l’episodio delle cassette d’arance ricevute dal solito Annibale da Leonardo Fustilla, del quale il sottufficiale avrebbe sminuito la gravità di un reato per cui era stato condannato nel redigere informazioni per il porto d’armi. L’accusa è corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. Analoga l’accusa in relazione alla vicenda Vasamì, grazie alla quale Annibale avrebbe ottenuto, invece, della legna. Da precisare che il gemello del pluripegiudicato per mafia abita nello stesso stabile del fratello.

Le rivelazioni

Rivelazione di segreti d’ufficio è l’accusa per Annibale che avrebbe reso edotto Natalino Figoli – dirigente della Ragioneria del Comune di Cirò (e a scavalco di quello di Cutro) – di una richiesta di informazioni giunta sul suo conto dal Comando provinciale dei carabinieri di Crotone e destinata al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro (nel procedimento per la riabilitazione dello stesso Figoli) e alla Prefettura del capoluogo calabrese (nell’ambito della procedura per la nomina a sub-commissario del Comune di Sorbo San Basile). Sempre il comandante avrebbe compiuto abusivamente accessi alla banca dati delle forze dell’ordine in favore di privati cittadini.

Il peculato

Ci sono poi le appropriazioni di fuochi d’articio il cui sequestro era stato omesso nel relativo verbale (sotto accusa Mutasci, D’Aluisio, Le Fosse) e il favoreggiamento (contestato a Palmieri) per aver aiutato una persona a assicurarsi artifizi pirotecnici illegalmente detenuti.

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